martedì 27 maggio 2014

Biscotti carrè

Quando dico che, se una persona mi fermasse per strada e mi chiedesse di cucinarle qualcosa, io sarei capace di dire di si, non esagero. Il piacere di cucinare e la voglia di sperimentare ricette nuove sono tali che davvero vado in cerca di ogni occasione che mi permetta di stare in cucina.
Un paio di anni fa, prima di aprire il blog, mi ero messa a fare biscotti di ogni genere, che, poi, mio marito portava ai ragazzi che lavoravano in uno studio, col quale lui aveva a che fare. Poi, per svariate ragioni, ho smesso, ma, qualche settimana fa, ho saputo che quei ragazzi hanno detto a mio marito: "Dottore, ma sua moglie non ci manda più nulla?" Era necessario rispondere ad un simile accorato appello. Per necessità di trasporto, doveva trattarsi ancora di biscotti e, avendo già sperimentato le tipologie più comuni (diamanti, meltaways, crinkles ecc.), mi son messa alla ricerca di biscotti non ancora testati. E son capitata qui, un blog che, prima seguivo spesso, ma che, ultimamente, avevo perso un po' di vista. L'idea di questi biscotti mi è subito piaciuta, anche se, come mio solito, ho fatto qualche variazione: non avevo le noci pecan e le ho sostituite con le mandorle, estratto di vaniglia home made, invece della vanillina, cioccolato fondente (quello avevo in casa), anziché al latte e, invece della cannella, ho finalmente provato ad usare le fave tonka, che avevo comprato a Parigi. Risultato davvero ottimo: profumati e con una consistenza tra il morbido ed il croccante davvero gradevole.

Biscuits carré

Burro                                         125 g
Zucchero di canna                     160 g
Estratto di vainiglia                   1 cucchiaino
Uovo                                         1
Farina                                        180 g
Lievito chimico                         1/2 cucchiaino
Bicarbonato di sodio                 1 pizzico
Mandorle                                   60 g
Zucchero                                   30 g
Gocce di cioccolato fondente   60 g       
Fava Tonka   

Tostare in forno le mandorle. Mettere i 30 g di zucchero in un pentolino, bagnare con un po' d'acqua e farlo caramellare. Una volta ottenuto un caramello biondo, versare nel pentolino le mandorle ancora calde e rigirarle, in modo che si rivestano di caramello. Stendere il croccante su un foglio di carta forno ed appiattirlo in uno strato sottile usando un'arancia o un limone ben lavati. Una volta che si sarà perfettamente raffreddato, metterlo in un sacchetto di plastica e, servendosi di un matterello, romperlo in pezzi abbastanza piccoli, senza arrivare, però, a sbriciolarlo.
Mettere in una terrina il burro ammorbidito, aggiungere lo zucchero di canna, l'estratto di vaniglia, la fava tonka grattugiata e l'uovo. Mescolare accuratamente e, a questo punto, aggiungere la farina setacciata insieme al lievito e al bicarbonato. Aggiungere anche il croccante e le gocce di cioccolato. Impastare bene il tutto. Rivestire uno stampo quadrato da 20 cm con carta forno e distribuirvi il composto, livellandolo in modo che abbia uno spessore uniforme.  Infornare a 180 gradi, per circa 30 minuti. Una volto cotto, far raffreddare e tagliare in tanti quadrati di 3-4 cm.


giovedì 22 maggio 2014

Impastare che passione!

Su Facebook faccio parte di un gruppo di "pazzi" per i lievitati, che sfornano a ripetizione croissants, brioches, pani di tutti i tipi, con combinazioni ardite di farine, pizze, focacce e così via impastando. Amando anche io tantissimo mettere "le mani in pasta", sono, da un lato, ammirata per le meraviglie che sfornano, dall'altro, mi prende una voglia irrefrenabile di provarci anch'io. Voglia per lo più frustrata, per il solito motivo: poi, chi se li mangia?...
Però, la tecnica usata per decorare con delle treccine questa corona mi piaceva troppo, per cui, alla prima occasione (gita con amici), mi son divertita a farla.
La vera sorpresa è stato l'impasto. In pratica, si tratta di una mia versione, leggermente modificata, dell'impasto per rosticceria palermitana, che si è rivelato essere di una sofficità incredibile, per cui credo che diventerà una pietra angolare dei miei prossimi buffet battesimali. Per il ripieno, io ho usato piselli, prosciutto e caciocavallo, ma, ovviamente, si può ampiamente spaziare. 
Ci sono solo due cose che modificherei:
- farei le trecce più corte; alla fine erano troppo lunghe ed ho dovuto "rincalzarle" sotto la corona
-  lascerei uno spazio maggiore tra la fine del ripieno e l'inizio delle trecce, in modo che il rotolo sia un po' più spesso sotto, altrimenti, quando si arrotola per formare la corona, tende a rompersi ed ho dovuto mettere un po' di "toppe".

Corona con trecce
Per l'impasto

Farina 00                 300 g
Farina W 350          250 g
Strutto                     60 g
Latte                       330 ml
Lievito di birra        6 g
Zucchero                2 cucchiaini
Sale                        2, 5 cucchiaini   

Con 100 grammi di farina 00 e 100 g di farina W 350 più il lievito e 150 ml di latte formare un lievitino, coprire e far lievitare fino al raddoppio. Trascorso il tempo necessario, aggiungere il resto delle farine e del latte ed iniziare ad impastare. Quando l'impasto apparirà omogeneo, aggiungere, un po' alla volta, lo strutto e, da ultimi, lo zucchero ed il sale. Continuare ad impastare fino a che l'impasto apparirà liscio ed incordato.
Far nuovamente lievitare fino al raddoppio. A questo punto, stendere l'impasto, formando un rettangolo; tagliare uno dei lati corti, formando una "frangia" fatta di 15 striscette.

                 
Formare delle trecce, intrecciando le striscette a tre a tre.



Distribuire il ripieno sul resto dell'impasto ed arrotolare delicatamente, formando un cilindro, dal quale sporgeranno le treccine. 


Chiudere il cilindro per formare la corona, spennellando le estremità con tuorlo d'uovo, in modo che si saldino. A questo punto, ribaltare le treccine, in modo che poggino sulla corona. Sistemare al centro della corona uno stampino imburrato ed infarinato, per evitare che il buco al centro si chiuda.



 Spennellare la superficie con un tuorlo d'uovo sbattuto con un po' di latte. Far lievitare ancora un'ora ed infornare a 200 gradi per circa 45 minuti.


La zoologa che è in me, non può fare a meno di pensare, guardando questa foto, alla teca di un riccio di mare...

martedì 20 maggio 2014

Due in colpo solo


Potevo mai fermarmi ad una sola versione del babà, per l' MTC di maggio? No, mi pare chiaro. La scelta di fare babà individuali, anziché uno solo grande è stata, ovviamente, dettata dal desiderio di fare tutte e tre le versioni consentite.
Dopo quello alle mandorle ed albicocche, che era stato ispirato da quello che avevo in dispensa, il secondo ha preso spunto dal mio orticello in terrazza. In questo periodo, sta rispuntando rigogliosa la menta e mi è parsa una buona idea utilizzarla per una crema molto fresca.


La ricetta per l'impasto del babà è sempre quella proposta da Antonietta ( e chi la molla più! è eccezionale!), nella versione con lievito di birra.

Babà alla menta

Per la bagna

Acqua                                              500 ml
Zucchero                          200 g
Rum                                 100 ml
Menta

Preparare a caldo lo sciroppo di acqua e zucchero, una volta che lo zucchero si sarà sciolto, aggiungere qualche foglia di menta e lasciare in infusione. Aggiungere il rum.

Per la crema

Latte                            250 ml
Tuorli                           2
Zucchero                      80 g
Maizena                       32 g
Menta 

Scaldare il latte e mettervi in infusione le foglie di menta, per un paio d'ore. Trascorso questo tempo, levare la menta ed aggiungere lo zucchero. Stemperare nel latte la maizena ed i tuorli, sempre col metodo del colino, come avevo descritto qui. Rimettere la pentola su fuoco basso e cuocere fino a che si addensa, sempre mescolando. Coprire con pellicola a contatto e lasciar freddare.
Bagnare i babà con la bagna, lucidarli con un po' di gelatina di albicocche, sciolta a caldo in po' d'acqua e servirli accompagnati dalla crema.


A casa mia, i superalcoolici non piacciono a nessuno e quelli che ci sono esistono praticamente solo in funzione della cucina. Inoltre, a parte una bottiglia di rum ed una di cognac, i liquori che si possono trovare da me sono tutti autoprodotti: limoncello, liquore di albicocche, vov (questo solo se è previsto un soggiorno invernale in montagna), arancello e liquore al caffè. 
Poiché il caffè è una delle cose che immediatamente si associano a Napoli, mi è parso giusto "coniugarlo" col babà.

Per la bagna

Acqua                             500 ml
Zucchero                        200 g
Liquore al caffè             100 ml
Caffè solubile                2 cucchiaini

Come accompagnamento, ho rifatto la splendida ganache al caramello di Hermè, utilizzando, però, solo cioccolato fondente. Per finire, ho decorato il piatto con un po' di granella di nocciole.






Ne ho fatto anche qualcuno in versione mignon e ne ho tagliato uno, per mostrare l'alveolatura.




lunedì 19 maggio 2014

Il fuoco della mia terra

Una cosa che mi fa incavolare tantissimo è quando qualcuno mi dice: "Ma davvero sei napoletana? non l'avrei mai detto"... E il bello è che, chi mi dice questa cosa, pensa di farmi un complimento! E già, perché una persona educata, che parla in italiano, si ferma al semaforo rosso e non tenta di scipparti la borsa non può essere napoletana...
Quando sento parlare della mia terra, è sempre un oscillare tra  gli stereotipi folcloristici e quelli negativi. Da un lato pizza-sole-mandolino e dall'altro camorra-delinquenza-anarchia. Lo so, la gente adora gli stereotipi, perché evitano la fatica di pensare. Ma la realtà, ovviamente, è molto più complessa e sfaccettata di così. Ed è proprio per raccontare questa realtà che ho aderito all'iniziativa "Terra di fuoco", per mostrare che la Campania è anche altro. Il che non vuol dire negare i problemi che indubbiamente ci affliggono, ma mostrare anche quello che di bello e di buono c'è in questa regione e che rischia di essere offuscato dagli stereotipi di cui sopra. 
Tra le iniziative del progetto Terra di fuoco, ce ne sono alcune volte a permettere di conoscere dal di dentro queste realtà che meritano di essere valorizzate. 
Quando ci è stata offerta la possibilità di visitare un pastificio ( e non un pastificio qualunque, ma il Pastificio dei Campi!) a Gragnano, mi sono affrettata a prenotarmi, perché mi sembrava particolarmente significativo iniziare proprio dall'alimento che, insieme alla pizza, più ci rappresenta.
E' stata un'esperienza interessantissima, a cominciare dall'incontro con il titolare. Giuseppe Di Martino è un visionario... Perché solo i visionari sono capaci di immaginare un futuro diverso e, dopo, rimboccarsi le maniche per renderlo realtà. Come dice sempre mio marito: la vita va prima immaginata e poi vissuta. 
Rappresentante della terza generazione di una famiglia di pastai, Giuseppe avrebbe potuto adagiarsi sulla tradizione consolidata dell'azienda di famiglia e, invece, insieme a sua sorella, ha scelto di impegnarsi a dar vita ad un progetto "anticamente innovativo". Uso volutamente un ossimoro, perché il cuore di questa piccola rivoluzione è stato proprio ritornare all'antico. Innanzitutto la scelta di impiegare esclusivamente grano 100% italiano, coltivato alternando sovescio e maggese, in modo da incrementarne la qualità. Poi, l'uso di trafile di bronzo, che conferiscono alla pasta quella ruvidità, perfetta per trattenere i condimenti e l' essiccazione ad alta temperatura, che preserva colore, nutrienti e profumi della pasta. Questi sono i punti salienti, ma, in pratica, non c'è tappa della produzione che non sia studiata in funzione dell'eccellenza. 
Un altro fronte sul quale il Pastificio dei Campi si è impegnato è quello di garantire la tracciabilità di ogni singola tappa della filiera produttiva. In pratica,  dal sito del pastificio, indicando il formato di pasta acquistato e la data di scadenza impressa sulla scatola, è possibile ricostruire tutte le fasi della produzione. Addirittura, grazie a Google Maps, è possibile vedere il campo dove è cresciuto il grano che è stato impiegato per quella particolare confezione di pasta.
Certo l'eccellenza ha un costo e questo rende questa pasta un prodotto di nicchia, ma anche le Ferrari lo sono... E chi non vorrebbe farsi un giro su una Ferrari?...
Peccato che, essendosi la visita prolungata più del previsto, io sia dovuta andar via (dovevo andare a Pilates...) prima di passare dallo spaccio aziendale a fare qualche acquisto. Mi manca, quindi, la prova assaggio, ma sono così curiosa di provarla che quanto prima proverò a colmare questa lacuna.

L'accesso alla zona di produzione


La trafila per i Campotti, un formato esclusivo del Pastificio dei Campi.

Nella mia ignoranza, credevo che la pasta mista si facesse mettendo assieme la pasta di vari formati, ho scoperto che, invece, esiste un'unica trafila, da cui escono i formati che costituiscono la pasta mista. Ed il Pastificio dei Campi produce diverse varietà di pasta di pasta mista, che vanno da quella che include 9 formati diversi a quella che ne comprende ben 27!


Il giorno della nostra visita era giornata di pennoni rigati


La pasta disposta sui telai di legno, pronta per essere messa nelle celle di essiccazione. L'esperienza sensoriale più forte della giornata è stata affacciarsi in un di queste celle e respirare il profumo, misto di grano e legno, che saturava l'aria, un profumo che, nella sua essenzialità, mi ha fatto pensare a quello del pane.


L'inscatolamento a mano

Tra i nostri politici va molto di moda usare l'espressione "ci metto la faccia". Ebbene, al Pastificio dei Campi, sulle scatole, la faccia di chi ci lavora c'è davvero.


giovedì 15 maggio 2014

Se i contorni sono difficili, anche gli antipasti non scherzano

Non so se capita solo a me, ma, quando devo stilare un menù di quelli tradizionali, che comprenda quindi la sequenza antipasto-primo-secondo-contorno-frutta-dessert, mi blocco sempre sull'antipasto e sui contorni. La scelta dell'antipasto è difficile perché deve trattarsi di qualcosa di stuzzicante, ma leggero, che apra lo stomaco e non di qualcosa che ammazzi qualsiasi voglia di mangiare altro. Mentre, per quanto riguarda il contorno, mi sembra difficile trovare ogni volta un modo originale di presentare le verdure. Sicuramente si tratta di limiti miei, ma sta di fatto che presto sempre molta attenzione, quando mi capita di imbattermi in ricette che rientrino nelle due categorie sopra citate.
L'altra sera, ho provato questa che, a parer mio, può essere presentata sia come contorno che come antipasto. Inoltre, utilizza ingredienti che, in questo momento, sono di stagione ed il limone, unito al Tabasco, conferisce una nota fresca, che sgrassa la bocca. Insomma, queste quenelles ci son proprio piaciute!

Quenelles di ceci    
(da La Cucina Italiana)
Ceci                        300 g
Zucchine                150 g
Piselli                     150 g
Asparagi                 5
Limone                  1/2
Olio evo                 30 ml    
Tabasco
Sale
Pepe

La sera prima, mettere a mollo i ceci in acqua calda. Il giorno dopo, lessarli e, una volta cotti, pesarne 250 g e frullarli.
Tagliare le zucchine in brunoise (cioè dadini piccoli quanto i piselli) e farle cuocere in padella con un po' d'olio, insieme ai piselli, bagnando con un po' di brodo (io ho usato il mio dado Bimby); salare e pepare (per inciso, non avrei mai pensato che piselli e zucchine stessero così bene assieme). Aggiungere le verdure alla purea di ceci e far raffreddare. Intanto, lessare gli asparagi e frullarli con il succo di limone, l'olio rimasto e qualche goccia di Tabasco, ottenendo una salsina.
Con l'aiuto di due cucchiai, formare delle quenelles con la purea di ceci e servirle irrorate dalla salsina agli asparagi.         


          

martedì 13 maggio 2014

All'ombra del vulcano

Verrebbe da chiedersi come mai, da millenni, tanti essere umani abbiano scelto di vivere sotto un terribile vulcano - lo "sterminator Vesevo", come lo chiama Leopardi - che, periodicamente, si risveglia, causando devastazioni epocali. 
Il motivo va senz'altro ricercato nel fatto che il terreno vulcanico è ricco di sali minerali, in particolare il potassio, caratteristica questa che, unita alla mitezza del clima, rende l'area vesuviana un luogo ideale per le coltivazioni. E molte sono le eccellenze agro-alimentari che, da sempre, rappresentano il fiore all'occhiello della "Campania felix". 
Ahimè, oggi, la nostra terra porta (tra gli altri...) il marchio infamante di "terra dei fuochi" e, di conseguenza, la superficialità ed il sensazionalismo giornalistico rischiano di portare l'opinione opubblica a fare di tutta un'erba un fascio, penalizzando quanto di buono, nonostante tutto, c'è in questa regione.
Quando ho appreso che l' MTC sul quinto quarto era stato vinto da Antonietta, una campana come me e che la sua scelta circa la ricetta da proporre per la nuova sfida era caduta sul babà, un dolce che, pure non essendo nato qui, si è così profondamente radicato da rappresentare l'identità napoletana tanto quanto la pizza o Posillipo, ho pensato che una sua rivisitazione dovesse necessariamente passare per un omaggio ai prodotti tipici della mia terra. 
E, senza alcuna esitazione, la mia scelta è caduta sulla albicocca vesuviana, una varietà citata per la prima volta da Giambattista Porta, nel suo libro "Suae Villae Pomarium" del 1583. Si tratta di una albicocca dolce e succosa, riconoscibile per la sfumatura rosata, che si accompagna al giallo- aranciato della colorazione di fondo e per la quale è in corso la richiesta di assegnazione della denominazione IGP. Il nome dialettale - crisommola - viene dal greco "chrisòs", che significa oro, un chiaro riferimento sia alla colorazione che alla preziosità del frutto.



Ha una stagione breve (da metà giugno a fine luglio) e, per questo motivo, quando è il periodo, oltre a mangiarle così come sono, cerco di "intrappolarne" il profumo ed il sapore, facendone sia marmellate che gelatina, come descritto qui. In più, l'anno scorso, ho fatto anche il liquore di albicocche (preveggenza? lungimiranza?) e mi son conservata un bel po' delle mandorle amare contenute nei noccioli di albicocche, per utilizzarle nei dolci. Insomma, mi sembrava di avere proprio tutto il necessario per realizzare l'idea che stava prendendo forma nella mia testa. Per di più, si trattava di ingredienti totalmente autoprodotti.








Babà alle albicocche e mandorle

Per la ricetta del babà, rimando a quella impeccabile di Antonietta. Io ho usato il lievito di birra e la planetaria, ma l'ultimo impasto ho finito di lavorarlo sulla spianatoia, col metodo dello "stretch and fold". Non ho fatto un babà unico, anche se i miei stampi sono un po' grandini per essere definiti "monoporzione"...

Per il latte di mandorla

Mandorle pelate              250 g
Mandorle amare              2

La sera prima, tritare grossolanamente le mandorle, metterle in un contenitore e coprirle con 300 ml di acqua. Tenere al fresco tutta la notte.
Il giorno dopo, mettere un imbuto sopra il bicchiere del frullatore ad immersione, rivestirlo con una pezzuola bianca mai lavata con detersivi e versarvi le mandorle con il loro liquido. Lasciare il tutto a percolare per un paio d'ore, trascorse le quali, strizzare bene la pezzuola, in modo da estrarre tutto il liquido. Le mandorle tritate non vanno gettate: anche se avranno perso un po' del loro sapore, una volta tostate, possono essere ancora riciclate, magari per fare un croccante.

Per la crema alle mandorle

Latte di mandorla              250 ml
Tuorlo                               1
Farina 00                           20 g
Zucchero                           130 g

Mettere in un pentolino il latte di mandorla con lo zucchero. Aggiungere la farina ed il tuorlo, che, però, non andranno versati direttamente nel liquido, ma stemperati attraverso le maglie di un colino parzialmente immerso nel latte di mandorla . Mettere il pentolino su fiamma bassa e, sempre mescolando, cuocere fino a che la crema si addensa.

Per la bagna

Acqua                                  500 ml
Zucchero                              200 g
Liquore di albicocche          150 ml
Arancia

Preparare un sciroppo con l'acqua e lo zucchero, aromatizzandolo con la buccia d'arancia. Una volta freddo, aggiungere il liquore. Utilizzare questa bagna per inzuppare i babà ancora caldi, immergendoveli dentro e rigirandoli, in modo che si impregnino bene. Tirarli fuori e strizzarli delicatamente, in modo da eliminare l'eccesso di bagna.
Sciogliere a caldo qualche cucchiaio di gelatina di albicocche con un po' d'acqua ed spennellare i babà per lucidarli. Servire accompagnando con la crema.










venerdì 9 maggio 2014

Per gli sglutinati e non solo


E' da un po' che non partecipo al Glu-Fri-Day, perché, dopo aver partecipato con un paio di proposte dolci, mi ero ripromessa di riprovarci con un salato, ma sembrava che non trovassi nulla di adatto. Poi, mi sono imbattuta in questa ricetta e mi è parsa promettente, oltre che senza glutine. Rispetto alla ricetta originale, ho aggiunto un po' di panna fresca alla crema di zucchine ed un foglio di gelatina, per renderla più consistente.

Sandwich ceci e zucchine (da La Cucina Italiana)

Farina di ceci                           500 g
Acqua                                       450 g
Olio evo
Zucchine                                  250 g
Burro                                        25 g
Panna fresca                             70 ml
Gelatina in fogli                       2 g
Sale
Pepe
Rosmarino

La sera prima, mescolare in una ciotola la farina di ceci con l'acqua, salare e farla riposare tutta la notte al fresco. Il giorno dopo, ungere abbondantemente d'olio una teglia e versarvi il composto, formando uno strato non più spesso di un cm (il mio era più spesso, per cui non s'era cotto bene ed ho dovuto tagliare a metà i dischi e rimetterli brevemente in forno). Irrorare con un filo d'olio, distribuirvi sopra degli aghi di rosmarino ed infornare a 200 grade, per 30 minuti. Una volta cotta la farinata, levarla dal forno, farla raffreddare e copparla in tanti dischetti.
Nel frattempo, tagliare le zucchine a rondelle sottili e rosolarle in padella col burro. Salare e pepare. Aggiungere la panna e la gelatina ammollata e strizzata. Aspettare che il composto inizi a "tirare", cioè diventi più sodo, e spalmare con il composto la metà dei dischi di farinata, coprendoli poi con i dichi rimasti, in modo da formare dei sandwich.







giovedì 8 maggio 2014

Cannelloni di stagione

Conservo, religiosamente rilegate, svariate annate de "La Cucina Italiana" e sfogliarle è sempre un piacere. La settimana scorsa, avendo un pomeriggio libero, mi sono dedicata proprio a questa lettura e, in men che non si dica, mi son trovata ad appuntarmi un certo numero di ricette, che voglio assolutamente provare. Mi sono, ovviamente, concentrata sui numeri di Maggio e sulle ricette che mi suggerivano modi interessanti di utilizzare i prodotti di stagione. La prima che ho provato a fare è questa. Con qualche piccolissima ( ma proprio minima, perché le vecchie ricette di quella rivista sono una garanzia) variazione personale, of course...

Cannelloni con ragù d'agnello e fave (x 3)

Polpa d'agnello tritata          200 g
Fave fresche sgusciate          300 g
Ricotta di pecora                 250 g
Sfoglie di pasta all'uovo      4
Pecorino grattugiato            2 cucchiai
Scalogno                             2
Passata di pomodoro          50 ml
Olio evo                              2 cucchiai
Vino rosso                         1/2 bicchiere
Latte                                  2 cucchiai
Sale

Tritare gli scalogni e farli appassire nell'olio; sfumare con parte del vino e, quando questo sarà evaporato, aggiungere la carne e farla rosolare. Aggiungere la passata, il resto del vino, salare e proseguire la cottura a recipiente coperto per 30 minuti.
Sbollentare le fave in acqua salata, scolarle e liberarle della pellicina esterna. Frullarle insieme alla ricotta, tenendone da parte qualcuna; aggiungere sale ed un cucchiaio di pecorino. Distribuire la crema di ricotta e fave sulle sfoglie di pasta, arrotolare a cannellone e, con un coltello ben affilato, tagliare con un taglio obliquo ciascun cannellone in 3 parti. Distribuire parte del ragù sul fondo di una pirofila, disporvi i cannelloni, spolverizzarli col pecorino rimasto, bagnarli con il latte e ricoprirli col resto del ragù. Coprire la pirofila con un foglio di alluminio ed infornare a 180 gradi, per 20 minuti. Trascorso questo tempo, togliere il foglio di alluminio e proseguire la cottura per altri 10-15 minuti. Al momento di servire, distribuire sui cannelloni le fave tenute da parte.



lunedì 5 maggio 2014

La crostata che si credeva una baklavà

Sembra destino che, anche quando parto con le migliori intenzioni di seguire una ricetta tal quale, io mi trovi costretta a cambiare qualcosa, a causa di imprecisioni o incongruenze nella ricetta stessa. 
E' successo anche con questa crostata, trovata su un vecchio numero di Sale & Pepe, perché, mentre, tra gli ingredienti, sono indicati 200 g di mandorle tritate, nella spiegazione della ricetta si parla di 50 g... Perplessa, ho optato per una salomonica via di mezzo: 100 g. A quel punto, già che c'ero, ho cambiato anche qualcos' altro... Poiché il ripieno mi sembrava troppo dolce, non ho aggiunto il miele, come richiesto, e, anzi, ho cercato di smorzare l'eccessiva dolcezza con del cioccolato fondente. Inoltre, ho aumentato sia la quantità che la varietà degli aromi previsti, cosa necessaria, altrimenti il ripieno rischiava di essere dolce e basta. Così "rinforzata" sul piano dell'aromatizzazione, questa crostata mi ha ricordato un po' una baklavà, me senza la stucchevolezza di quel dolce così diffuso tra Grecia e Turchia. Davvero buona!

Crostata mandorle e pistacchi

Per la pasta frolla

Farina 00              200 g
Burro                   100 g
Zucchero              80 g
Tuorli                   2
Sale                      1 pizzico
Buccia di limone

Impastare il burro con la farina, il sale e lo zucchero, ottenendo delle grosse briciole; aggiungere i tuorli e la buccia di limone grattugiata ed impastare velocemente. Lasciar riposare almeno mezz'ora, prima di usarla.

Per il ripieno

Zucchero                              250 g
Mandorle intere                   20
Granella di mandorle           100 g
Granella di pistacchi            60 g
Burro                                   100 g
Latte                                    150 ml
Cioccolato fondente 70%    60 g
Pan grattato                          1 cucchiaio
Arancia                                1
Cannella                              2 cucchiaini
Acqua di fior d'arancio        1/2 fialetta
Estratto di vaniglia              2 cucchiaini
Liquore all'arancia               30 ml
Tuorlo                                  1

Preparare uno sciroppo con lo zucchero e 150 ml d'acqua. Portare ad ebollizione, poi, abbassare la fiamma e proseguire la cottura per circa 15 minuti, finché lo zucchero inizia a prendere colore. Levare lo sciroppo dal fuoco ed aggiungervi la granella di mandorle, 50 g di granella di pistacchi, il latte, il cioccolato tritato, la buccia grattugiata dell' arancia, la cannella, l'estratto di vaniglia (io ho usato quello fatto da me), l'acqua di fior d'arancio ed il liquore. Mescolare bene, rimettere sul fuoco e,sempre mescolando, cuocere per altri 15 minuti, fino a che non si addensa. Lasciare raffreddare, mescolando di tanto in tanto. 
Stendere 2/3 della pasta frolla, formando un disco e foderare con essa una teglia di 22 cm; bucherellare il fondo con i rebbi di una forchetta, spolverizzare col pan grattato e versarci il ripieno. Coprire con la restante pasta frolla, avendo cura di saldare bene i bordi. A me è avanzata un po' di pasta e l'ho usata per fare un decoro a stelline. Spennellare la superficie del dolce col tuorlo, praticare un foro al centro, per far uscire il vapore e decorare con la granella di pistacchi e le mandorle intere. Infornare a 180 gradi per 35-40 minuti.