giovedì 28 febbraio 2013

Rivisitazione siciliana


Oggi pubblico un po' frettolosamente, perché sono abbastanza incasinata con tre tesi da correggere. La ricetta,   però, ha alcuni pregi: è semplicissima nella sua esecuzione ed è molto gustosa, pur essendo molto leggera.    Oserei dire che può diventare dietetica, se si sostituisce lo yogurt intero con quello magro, le uova intere con i soli albumi e si elimina la cialdina ai pinoli.
L'ispirazione, ovviamente, viene dall'insalata di finocchi e arance che fanno in Sicilia.

BUDINO DI FINOCCHI E SALSA ALL’ARANCIA



Per 3 budini
Finocchio                         1
Yogurt greco                    100 g.
Uova                                 2
Sale                                  q.b.
Pan grattato

Per la salsa
Arancia                             ½
Zucchero Moscovado         2 tsp
Fecola                              1 tsp

Per le tuiles ai pinoli
Albume                            50 g.
Farina                              50 g.
Burro                                50 g.
Pinoli                               1 tbs
Sale

Tagliare il finocchio a fettine,  lessarlo e frullarlo (il mio finocchio, una volta frullato, pesava, da solo, 320 g.)  insieme allo yogurt e alle uova. Salare e versare il composto negli stampini da budino di alluminio unti e spolverizzati di pan grattato. Infornare a bagnomaria a 180 gradi.
Mescolare l’albume leggermente battuto alla farina e al burro fuso; aggiungere i pinoli. Stendere il composto su carta forno, formando 3 dischetti. Infornare finchè saranno delicatamente dorati.
Spremere la mezza arancia, filtrare il succo, stemperarvi la fecola e  lo zucchero; cuocere a fiamma bassa, finchè la salsina si addensa, ma rimane ancora fluida.
Sformare i budini, infilzare in ognuno una cialdina e nappare con la salsa all’arancia


lunedì 25 febbraio 2013

In zona Cesarini

Toh! ne ho fatta un'altra... Il fatto è che avevo in freezer ancora due piccole red velvet che reclamavano di non essere ignorate e, così, di fretta e furia, visto che oggi è l'ultimo giorno, ho fatto un'altra versione. 
La ricetta di base della red velvet è sempre quella di Stefania.
Per la farcitura:
Mandorle                        75 g
Zucchero                        50 g
Cioccolato bianco            50 g

Ho tostato le mandorle pelate. Ho caramellato lo zucchero e ci ho aggiunto le mandorle, girando in modo che si rivestissero ben bene di caramello. Ho versato su un foglio di carta forno il croccante così ottenuto e, aiutandomi con un'arancia, l'ho appiattito e, appena si è un po' indurito, l'ho tagliato in quadrotti. Ho messo il croccante nel mixer e l'ho frullato, finché è diventato una crema e l'ho aggiunta al cioccolato bianco, sciolto a bagnomaria.



Ho spalmato il pralinè alle mandorle su una delle due tortine e, poi, ci ho sovrapposto l'altra.


Namelaka al cioccolato fondente (dal blog di Pinella)


125 g di cioccolato al 70%
2.5 g di gelatina in fogli da 2 g
100 g di latte fresco intero
5 g di sciroppo di glucosio
200 g di panna fresca

Far fondere il cioccolato nel micro-onde . Idratare la gelatina in acqua fredda, strizzarla e tamponarla tra due fogli di carta da cucina. Far bollire il latte insieme al glucosio e aggiungere la gelatina. Rimescolare, filtrare e versare sul cioccolato fuso. Tenere in frigo per tutta la notte. L'indomani, montare la crema a spuma con le fruste.
Mettere la torta su un'alzatina di diametro leggermente inferiore rispetto alla torta e colarci sopra la namelaka, in modo da rivestire completamente la torta. Ho decorato con qualche confettino argentato.





Con questa ricetta partecipo all'MTC di febbraio 2013


giovedì 21 febbraio 2013

Napoli-Roma



Conosco Alessandra da alcuni anni. Anche con lei l'incontro è avvenuto sul forum di Cucina Italiana, ma l'occasione di trasformare la conoscenza in amicizia ci è stata data quando abbiamo partecipato entrambe alla trasmissione "Cucina di classe" del Gambero Rosso Channel e, successivamente, quando abbiamo creato il gruppo dei Cuochi q.b. e condiviso cucine, organizzazione, stress e soddisfazioni. Alessà è una donna esuberante e piena di vita, che nasconde, sotto un'apparenza da "tosta", una delicatezza di sentimenti che non tutti riescono a cogliere immediatamente. Sono stata, quindi, felicissima di averla a cena a casa mia, la settimana scorsa. Alessà, come si suol dire, ha "bussato coi piedi", perché mi ha portato alcune specialità romane: pecorino, broccolo romanesco e degli splendidi carciofi, belli quanto (se non più...) un mazzo di rose. 
Ho così inaugurato una "artichoke's week", che mi ha vista cucinare un risotto coi carciofi, carciofi alla giudìa ed una napoletanissima parmigiana di carciofi.

Parmigiana di carciofi

Carciofi             4
Fior di latte       150 g
Ragù                  2 tazze
Uova                  2
Farina                4 cucchiai
Parmigiano        3       "
Sale 
Olio per friggere (io evo)

Mondare i carciofi e tagliarli a fettine sottili, ma non sottilissime, immergendole, man mano, in acqua acidulata con succo di limone.   
Scottare le fette di carciofo in acqua bollente salata per un paio di minuti e scolarle accuratamente. Passare le fette di carciofo prima nella farina e poi nell'uovo battuto e friggerle, finché saranno dorate.



Stendere un po' di ragù sul fondo di una pirofila (io ne avevo in congelatore, ma va bene anche una normale salsa di pomodoro), disporre uno strato di carciofi, fettine di fior di latte, parmigiano e ancora ragù. Continuare così, fino ad esaurimento degli ingredienti. Infornare a 180 gradi per una mezz'ora.




lunedì 18 febbraio 2013

Cosa non si fa per amore...

...dell'MTC, ovviamente. Questo mese, appena ho letto che la ricetta della sfida era rappresentata dalla Red velvet cake, avevo dichiarato che non avrei partecipato. Eh si, perché a me, la pasticceria americana non piace proprio: troppo dolce, troppo pesante, troppo calorica... Per non parlare dell'orgia di coloranti che vengono impiegati...Ma come, mi son detta, io che sto spostando sempre un po' più in là il concetto di "fatto in casa", proprio allo scopo di rendere l'alimentazione di casa mia più sana e libera da conservanti & coloranti, vado a tingere artificialmente di rosso una torta ? Uno spiraglio mi era apparso, quando, rileggendo il regolamento, ho visto che si faceva cenno alla cocciniglia, un colorante naturale. Sono quindi partita alla ricerca di questa alternativa, sia a Napoli che a Milano, ma non c'è stato nulla da fare: non l'ho trovata. Tra l'altro, leggendo qua e là in rete, ho realizzato: 
a) che ci sono molte persone allergiche alla cocciniglia e che, quindi, il concetto di "naturale", non necessariamente coincide con quello di "sano" (in fondo, anche la cicuta è naturale, ma non credo che Socrate l'abbia trovata così salutare...)
 b) che esistono vaste categorie di persone che assolutamente non mangerebbero mai qualcosa colorato con la cocciniglia: i vegani, che non ingeriscono nessun alimento di origine animale, gli ebrei, che considerano il mangiare insetti pure peggio che mangiar maiale e tutte quelle persone che semplicemente sono disgustate dall'idea di mangiare insetti.
Insomma, non se ne usciva: o rinunciavo oppure mi toccava usare il colorante. Epperò, autoescludermi dal gioco mi dispiaceva, per non parlare del fatto che, rinunciando, mi sarebbe sembrato di non rendere il dovuto omaggio a tutte le persone che hanno problemi col glutine, dai "semplici" intolleranti, ai veri celiaci. Si, perché la torta di questo mese, non solo dev'essere rossa, ma anche gluten free e mi sembrava giusto calarmi, per una volta, nei panni di chi, col glutine deve farci i conti tutti i giorni, perché credo che solo vivendo concretamente il problema di un'altra persona lo si possa comprendere fino in fondo. E, poi, non ho sempre pensato che intransigenza e integralismo sono la culla dell'intolleranza? Non cascherà il mondo, se, per una volta, farò una torta all'americana!
Sono quindi partita per la mia spesa gluten free, armata di occhiali, per leggere con attenzione le etichette. E si fanno scoperte interessanti, come, ad esempio, che la fecola di patate che sono solita comprare contiene tracce di glutine e che io, usandola, quando cucinavo per la mia amica intollerante al glutine, avevo sbagliato. Prima lezione: leggere le etichette.  Leggendo, poi,  il post di Stefania ho appreso che, non solo è importante la scelta dei cibi, ma che anche il rischio di contaminazioni deve essere tenuto ben presente. Seconda lezione: evitare le contaminazioni. Riassumendo: spesa consapevole, pacco di zucchero intonso, strumenti lavati e rilavati, allo scopo di rimuovere ogni possibile traccia di glutine e via che si va.
La ricetta che ho seguito per la torta è stata, come da regolamento, quella messa a punto da Stefania: perfetta. Inizialmente, avevo pensato di utilizzare una copertura base di cream cheese ed ho colto l'occasione per prepararmelo in casa (una vera figata, prossimamente ne parlerò più estesamente), ma alla fine, ho optato per la panna montata leggermente zuccherata, che mi sembrava, complessivamente, più leggera. Ho però usato il latticello ottenuto dalla preparazione del cream cheese. Come colorante ho usato quello della Wilton, che le altre MTCine mi avevano assicurato essere il migliore. 
Ho versato il composto in 6 stampini da 10 cm di diametro, imburrati e spolverizzati con farina di riso e li ho cotti in forno a 180 gradi per circa 30 minuti. Come consigliato da Stefania, una volta freddate le tortine, le ho avvolte in pellicola e le ho messe in frigo per tutta la notte. Il giorno dopo, le ho tagliate a metà ed ho assemblato 4 tortine a tre strati. Per la farcia, ho fatto ricorso ad un abbinamento che adoro: cioccolato ed arance. Ho spalmato ogni strato, meno quello di copertura, con la mia gelatina di arance, leggermente scaldata al microonde, per poterla stendere meglio. Ho preparato una ganache riscaldando 100 g. di panna fresca al 50%, nella quale, fuori dal fuoco, ho sciolto con una frusta 100 g di cioccolato fondente al 70%, finemente tritato. Quando si è raffreddata, l'ho messa in frigo per un'oretta. Al momento di utilizzarla, l'ho montata con una frusta e l'ho delicatamente spalmata sullo strato di gelatina. Una volta farcite le tortine, ho montato 150 g di panna con un cucchiaio di zucchero a velo e, con un sac a poche, le ho decorate. Ho rifinito il piatto con polvere di buccia d'arancia disidratata.







Con questa ricetta partecipo all' MTC di febbraio 2013


giovedì 14 febbraio 2013

Il pesce crudo.

La prima volta che ho mangiato il sushi è stato a New York, quasi 30 anni fa, quando, qui da noi, era completamente sconosciuto. Non mi fece impazzire e, ancora adesso, fatico a capire come abbia fatto a diventare così tanto di moda. Non è che non mi piaccia il pesce crudo, ma lo preferisco "declinato" all'italiana: con una leggera citronette, oppure accompagnato da un trito di cipollotti freschi o erba cipollina, tanto per citare le prime preparazioni che mi vengono in mente. Il sushi, alla fine, sa di wasabi, ed il sapore dei singoli pesci un po' si perde... Però, come dicevo, a me il pesce crudo piace e mi piace trovare modi diversi per presentarlo. 
Tra l'altro, gli eccessi carnascialeschi, a base di lasagne, chiacchiere e castagnole impongono, Quaresima o non Quaresima, di dedicarsi a cibi un po' più leggeri. Non foss' altro per arrivare preparati alle pastiere, alle colombe e alle uova di cioccolato di Pasqua.... Mi sembra, quindi, che questo antipastino leggero sia molto appropriato per il periodo.

"Bon bon" di gamberi

Per 4 persone
Gamberi                             16
Ricotta                               150 g
Limoni                              2
Olio evo
Sale grosso
Pepe nero

Sgusciare i gamberi, eliminare il budellino ed aprirli a libro. Mettere i gamberi tra due strati di pellicola e batterli delicatamente col batticarne, in modo da appiattirli.



Sovrapporre i gamberi a due a due, formando una croce. Setacciare la ricotta, salarla e aromatizzarla con la buccia di un limone grattugiata finemente. Disporre un cucchiaino di ricotta al centro della "croce" di gamberi.




Chiudere i gamberi attorno alla ricotta, formando una pallina, che andrà serrata nella pellicola. Mettere in frigo per un'oretta. 



Servire i bon bon con un filo di olio evo, una macinata di pepe, qualche grano di sale (io ho usato quello rosso delle Hawaii) e delle zeste di limone.


sabato 9 febbraio 2013

Scacco matto


 Prima di aprire il blog, avevo partecipato solo sporadicamente all' MTC. Quando c'era stata la sfida sul Danubio, mi ero limitata a raccontare quello che sapevo, grazie ad una ultratrentennale amicizia con la famiglia Scaturchio, sull'origine di questa preparazione, che è ormai molto conosciuta anche fuori dai confini della mia città. Il Danubio salato, infatti, è una creazione della famosa pasticceria napoletana Scaturchio. Il tutto nacque grazie al matrimonio di Giovanni Scaturchio con una donna austriaca, cosa che lo mise in contatto diretto con la pasticceria mitteleuropea. E, tra i tanti dolci austro-ungarici, ci sono i buchteln, delle brioscine dolci, ripiene di marmellata, cotte in una teglia, in modo che si attacchino tra loro. L'idea di Scaturchio fu quella di farne una versione salata, che, in onore della moglie, battezzò brioscine del Danubio. Fu un grande successo e, da allora, nelle case napoletane, praticamente non ci fu un buffet dove non troneggiassero queste brioscine, antesignane di tutti i finger food a venire.
Ho già parlato qui di come, spesso, le idee per un piatto mi vengano nel dormiveglia. E' successo anche con questa ricetta. Peccato che la "folgorazione" mi sia venuta proprio l'ultimo giorno utile per partecipare all' MTC di quel mese, in una giornata in cui proprio non ce l'avrei fatta a dedicarmi alla sua realizzazione . L'idea, però, mi era rimasta in testa, ma mi ci voleva  l'occasione giusta. Eh si, perché questa versione del Danubio non può essere fatta per un paio di persone, pena la perdita di un certo effetto scenografico. Ma, finalmente, l'occasione si è presentata, quando mio marito mi ha chiesto di preparare qualcosa da servire come spuntino, durante una riunione in ufficio. 

Danubio scacchiera

In pratica, ho preparato una "scacchiera" di brioscine: quelle nere al nero di seppia, farcite con gravalax e quelle bianche, con la farcitura tradizionale di salame e formaggio.

Il gravalax è una tecnica di marinatura a secco del salmone. Si prende una baffa di salmone, la si cosparge di sale grosso e zucchero (nella proporzione di 2:1) e la si aromatizza con buccia di agrumi, pepe e barbe di finocchietto o aneto; si mette il pesce in un piatto, si sigilla il tutto con pellicola e si lascia marinare per 48 ore in frigo. Il sale e lo zucchero, per osmosi, estrarranno l'acqua contenuta nel pesce (esattamente come accade quando mettiamo le melanzane sotto sale). E' importante, quindi, durante le 48 ore, eliminare di tanto in tanto l'acqua che si accumulerà sul fondo del piatto. Trascorso questo tempo, raschiare delicatamente via le bucce di agrumi e gli eventuali residui di sale e zucchero. Con un coltello affilato a lama lunga, tenuto obliquo rispetto al pesce, tagliare in diagonale sottili fettine di salmone.

Per l'impasto del Danubio, ho usato, come sempre, la ricetta delle brioscine mediterranee di Elena DG, una bravissima amica dei tempi di Cucinait.

Per il lievitino

Farina 00               200 g
Farina Manitoba    200 g
Lievito di birra       16 g
Latte                     250 g

Impastare il tutto e far lievitare 2 ore. Trascorso questo tempo, pesare il lievitino e dividerlo in due parti.

Impasto finale

Metà del lievitino
Farina 00               160 g
Farina Manitoba    100 g
Uovo                     1
Tuorli                     2
Burro morbido       100 g
Sale                       2 tsp
Zucchero              15 g.

Iniziare aggiungendo a metà lievitino l' uovo e i tuorli, poi, quando saranno stati assorbiti, il burro, poco alla volta. Sale e zucchero andranno aggiunti alla fine. Impastare finché il tutto risulta ben incordato. Si può fare la prova "velo". Si prende una piccola parte d'impasto e la si allarga delicatamente con le dita: se si forma uno strato così sottile da essere quasi trasparente, senza che la pasta si rompa, allora l'incordatura è avvenuta correttamente.
Procedere nello stesso modo con l'altra metà del lievitino, solo che, a questo impasto, andrà aggiunto anche del nero di seppia ( 1 cucchiaino dovrebbe bastare). Se non amate il nero di seppia, si può anche ricorrere alla farina integrale per fare le palline scure.
Far lievitare, coperto da pellicola, per 3 ore. Alla fine delle 3 ore, pesare i due impasti e dividerli in tanti pezzi da circa 30 g. (meglio pesarli, in modo da averli tutti uguali). Con l' impasto bianco si formeranno, facendole rotolare sulla spianatoia, delle palline farcite, come dicevo, con salame o prosciutto e formaggio (caciocavallo o fontina), mentre con l'impasto nero si faranno delle palline farcite con fettine di gravalax (ma anche i gamberetti non ci starebbero male). A questo punto, si sciolgono al microonde 25 g di burro dentro  una tazza, si prendono le palline e se ne intinge la base nel burro fuso. Disporre le palline in una teglia rivestita di carta forno, alternando quelle bianche a quelle nere, avendo cura di metterle vicine, ma non troppo. Lievitando finiranno col saldarsi tra di loro, ma non così tanto, dimodoché sarà semplice separarle l'una dall'altra, al momento di mangiarle. Una volta disposte nella teglia tutte le palline, spennellarne la superficie con del latte. Io, per accentuare il contrasto cromatico, ho messo, su quelle nere, dei semi di papavero e, su quelle bianche, dei semi di sesamo.








giovedì 7 febbraio 2013

E' Carnevale

Avete mai alesato un tubetto, inteso come formato di pasta? Bè, io si...Tutto è cominciato quando ho pensato di fare delle tagliatelle multicolori, come se fossero delle stelle filanti. A quel punto, è stato automatico pensare alla possibilità di decorare il piatto con dei coriandoli di verdura. Il problema è stato che ci sarebbe voluto un coppa pasta minuscolo, ma, benché la mia cucina ( come quelle di molte di voi, ne sono certa) trabocchi dei più impensabili parafernalia dedicati alla cucina, succede sempre che, nel momento topico, la mia ridondante attrezzatura si riveli carente di uno specifico attrezzo. Ed anche questa volta è successo. Ma il bisogno aguzza l’ingegno,no? Solo che, se si possiede una mente perversa, si partoriscono soluzioni che esito a raccontare, per timore che chiamiate la neuro…Vabbè…in pratica, ho preso un tubetto di pasta, ci ho infilato dentro la punta del mio spilucchino di ceramica ed ho iniziato a rotearlo, fino a renderlo, non dico affilato come una lama, ma comunque capace di tagliare una verdura. Et voilà i miei coriandoli!

Per le tagliatelle: 

300 g. di farina 0 + un po' per le "correzioni"

3 uova

Un pugno di spinaci

Mezza barbabietola lessa

1 cucchiaio di concentrato di pomodoro

Ho impastato la farina con le uova ed ho diviso in 4 pezzi il panetto così ottenuto. Un pezzo l’ho impastato con gli spinaci cotti, frullati e strizzati, uno con la barbabietola ugualmente frullata e strizzata, uno con il concentrato di pomodoro e il quarto l’ho lasciato “nature”. Inevitabilmente, una volta aggiunti i “coloranti”, è stato necessario aggiungere un po’ di farina, per ottenere la giusta consistenza. Ho fatto riposare i 4 impasti ricoperti di pellicola per mezz’ora.   

  
A questo punto, mi sono accinta al compito più difficile: tirare la sfoglia… Si, perché, da terrona qual sono, questa cosa della sfoglia mi manca proprio nel DNA. Son cose che si imparano dalle mamme e la mia, a questo proposito, mi ha lasciato in eredità la sua Pastamatic, tanto per capirci… Sudando le proverbiali sette camicie, ho fatto le tagliatelle e le ho messe ad asciugare.


Munita del mio ipertecnologico strumento, ho tagliato dei coriandoli da un peperone rosso,uno giallo, una zucchina e una barbabietola. Ho lessato un pugno di piselli, li ho frullati, messi in uno squeezer e depositato delle gocce sul bordo del piatto, dove avevo già disposto i coriandoli di verdura. La sera prima, avevo grattugiato il Montasio con la grattugia a fori grossi, e l'avevo messo  in una casseruolina, coperto a filo col latte. Il giorno dopo, ho fuso lentamente il formaggio, aggiungendovi un cucchiaio di vino bianco e una noce di burro, maneggiato con un cucchiaio di farina. Ho lessato le tagliatelle, le ho condite con la fonduta e le ho impiattate.



lunedì 4 febbraio 2013

Semel in anno....

...licet insanire, dicevano i Latini, come dire che, una volta all'anno, è consentito dar fuori di matto o, comunque, concedersi qualche sregolatezza. Ed è una frase cui spesso si ricorre a Carnevale, per giustificare l'abuso di lasagne, frappe e castagnole che si fa in questo periodo. Il problema è che, dopo Carnevale, ci sono le zeppole di S. Giuseppe, poi la pastiera e l'uovo di cioccolato a Pasqua...altro che una volta l'anno! Però, pur con tutti i sensi di colpa del caso, alla lasagna carnascialesca proprio non riesco a rinunciare, anche perché è l'unica occasione in cui mi dedico alla preparazione di un ragù napoletano "comme il faut". 
A questo punto, è necessario fare una doverosa precisazione: in tutta Italia, quando si dice "lasagna", quasi ovunque, si pensa a quella bolognese. A Napoli (e ti pareva...), s'intende una cosa diversa. Innanzitutto, le sfoglie non sono all'uovo ed hanno un bordo ondulato, il ragù è quello napoletano e non quello bolognese, il ripieno è fatto con ricotta, fior di latte, minuscole polpettine e qualcuno ci mette anche l'uovo sodo. A casa mia, però, mia madre ne faceva una sua personalissima versione, che, in qualche modo, fondeva la tradizione napoletana con quella bolognese. Insomma, una lasagna ereticissima, ma, sapete com'è, da bambini si ricevono fondamentali imprinting gastronomici e a me la lasagna fatta in questo modo piace più di qualunque altra. Mio marito che, da bambino, imprinting gastronomici non ne ha avuti o, se li ha avuti, son stati traumatici, la adora quanto e più di me. Come negargliela?

Lasagna nord-sud

Per il ragù

Costine di maiale                          500 g
Passata di pomodoro                    1 bottiglia
Concentrato di pomodoro            250 g
Cipolla                                         1 grande
Vino rosso                                   1 bicchiere
Olio evo                                       3 cucchiai
Sale

Tritare la cipolla e farla appassire nell'olio, cuocendola a lungo a fuoco molto basso, sfumando, di tanto in tanto, con un po' di vino. Una volta che la cipolla è sfatta, aggiungere le costine e farle rosolare accuratamente, sempre a fuoco basso, per un' oretta. A questo punto, aggiungere la passata, il concentrato ed il sale. Proseguire la cottura col fuoco al minimo, girando spesso, per evitare che il ragù si attacchi sul fondo della pentola. Il ragù deve sobbollire pian pianino (pippiare, si dice da noi) e sarà pronto quando sarà diventato di un bel rosso mattone lucido. In totale, ci vorranno non meno di 4 ore di cottura (io 6). Ed ecco il risultato




Per la lasagna

Sfoglie di lasagna all'uovo                      10
Carne tritata                                            500 g
Bechamel                                               400 g
Fior di latte                                             400 g
Parmigiano grattugiato                           6 cucchiai
Burro                                                      25 g
Olio evo                                                 1 cucchiaio
Sale
Noce moscata

Rosolare la carne tritata nel burro; quando sarà cotta, mescolarla alla bechamel, salarla e aggiungere un'abbondante grattugiata di noce moscata.
Lessare per qualche minuto le sfoglie di lasagna, in acqua bollente salata, a cui sarà stato aggiunto un cucchiaio d'olio; scolarle e metterle in una larga ciotola, piena di acqua fredda. Mettere sul fondo di una grande pirofila un paio di cucchiaiate di ragù e coprirlo con le sfoglie di lasagna sgocciolate ed asciugate tra due strofinacci puliti. Fare uno strato di carne tritata con bechamel, distribuire qualche dadino di fior di latte e spolverizzare di parmigiano. Fare un altro strato di sfoglie, coprirle con ragù, fior di latte e parmigiano. Proseguire, alternando gli strati. L'ultimo strato di copertura dovrà essere di ragù e parmigiano. Infornare a 180 gradi, tenendo la lasagna coperta con un foglio di alluminio per i primi 30 minuti, per poi proseguire la cottura scoperta per altri 10 minuti, in modo che si formi una crosticina croccante, senza che la lasagna si asciughi troppo.