giovedì 28 novembre 2013

Presto, che è tardi!

Postare una ricetta per l' MTC nell' ultimo giorno utile è da masochisti. Eh si, perché, a questo punto, sembra che tutte le possibilità siano state esplorate, tutti gli abbinamenti possibili ed impossibili testati, che le altre abbiano avuto idee stratosferiche che tu nemmeno in una prossima vita ti sogneresti di avere. Resta, quindi, pochissimo margine, anzi, forse, nessuno. E, poi, questa idea che mi ronza per la testa non mi sembra esattamente da cucina povera. Non tanto per gli ingredienti, ma per quel minimo di tecnica che richiede. Nulla di trascendentale, per carità, ma sicuramente mia nonna un dolce come questo non avrebbe saputo nemmeno da dove iniziare per prepararlo. Anzi, pensandoci bene, l'unico dolce che io abbia mai mangiato, preparato da mia nonna, son stati i roccocò. E quindi? Rinunciare? La verità è che io questo dolce volevo farlo PER MANGIARLO! MTC o non MTC! Così, rotti gli indugi, mi son messa all'opera. L'organizzazione è stata complessa e, causa mancanza di tempo, spezzettata. Martedì sera ho preparato la dacquoise, ieri mattina, appena alzata, ho messo a bollire le castagne. Il tempo di far colazione, doccia e vestirmi e le castagne erano cotte ed ho potuto spellarle velocemente. Tornata a casa per pranzo, ho fatto la gelé ai cachi e l'ho messa a rassodare in frigo. Sono andata a Pilates e, al ritorno, ho fatto la bavarese alle castagne ed ho assemblato il dolce e messo in frigo. Prima di andare a dormire, l'ho smodellato e fotografato. Insomma, ce l'ho fatta, sul filo di lana, ma ce l'ho fatta!

Bavarese alle castagne con gelè ai cachi 
(x 4 monoporzioni)

Dacquoise alle castagne

Albume                   45 g
Zucchero                 60 g
Farina di castagne   35 g

Montare a neve soda gli albumi. Aggiungere lo zucchero e continuare a montare. Metter via le fruste e, con una spatola, aggiungere delicatamente la farina di castagne setacciata. Versare il composto su una teglia rivestita di carta forno e, con una spatola a gomito, stenderlo ad uno spessore di circa mezzo cm. Infornare a 170 gradi per una decina di minuti. Tirarlo fuori e, ancora caldo, ritagliare 4 dischi con un coppapasta.

Gelè ai cachi

Polpa di cachi         180 g
Zucchero                 70 g
Gelatina in fogli       3 g

Frullare la polpa di cachi con lo zucchero. Ammollare la gelatina in acqua fredda e metterla in un pentolino, con un cucchiaio d'acqua, facendola sciogliere. Aggiungerla alla purè di cachi. Rivestire con una striscia di acetato 4 cerchi, mettere sul fondo il disco di dacquoise e versarci sopra uno strato di gelè ai cachi. In frigo a rassodarsi.

Bavarese alle castagne

Purè di castagne        200 g
Zucchero                   100 g + 50g
Gelatina in fogli        6 g
Latte                         140 ml
Panna fresca              180 g
Estratto di vainiglia   qualche goccia
Rum                            2 cucchiai

Lessare le castagne e sbucciarle. Metterle in un pentolino con i 100 g di zucchero, coprirle con il latte e far sobbollire per 5 minuti. Frullare col minipimer. Aggiungere la gelatina ammollata e strizzata, l'estratto di vainiglia (quello vero, non quello sintetico) e il rum e dare ancora una frullata. Semimontare la panna ed aggiungervi delicatamente prima i 50 g di zucchero e poi il composto di castagne quasi freddo, amalgamando il tutto. Formare uno strato di questo composto sulla geleè di cachi ormai solidificata. Mettere in frigo a rassodare. Quando la bavarese si sarà completamente raffreddata, versarci sopra un sottile strato di ganache, fatta con cioccolato fondente e panna 50:50. Guarnire con violette candite.
 (per un cerchio da 24 cm raddoppiare le dosi)





Addendum: questa è la versione per 20 persone, rifinita con glassa a specchio di Faggiotto e decorata con castagne caramellate.



  

lunedì 25 novembre 2013

Mi viziano...


Questo fine settimana, non ho cucinato, ma, in compenso, ho mangiato ad un altissimo livello. Si, perché, quando ho comunicato a mia sorella che sarei salita a Milano, per stare un po' con i miei cari, che vivono quasi tutti lì, lei mi ha detto: "Bene, bene, così ti portiamo a cena in un posto particolare". Quando ho chiesto dove, lei ha fatto la vaga, dicendo che si trattava di una sorpresa. Mio cognato, ad un certo punto, subito zittito da mia sorella, si era fatto scappare un "Four Season", ma più di tanto non ero riuscita a sapere. Onestamente, a me, l'idea di andare a cena al Four Season, nelle cui cucine sapevo regnare uno dei più grandi chefs italiani, Sergio Mei, sembrava già una sorpresa eccezionale, ma, come ho poi scoperto,  c'era in serbo per me una serata davvero unica.
Rosa dalla curiosità, giovedì sera, arrivo a Milano, mi cambio in fretta e furia, saliamo in macchina e ci dirigiamo verso il Four Season. Entriamo nella hall e, dopo qualche minuto di attesa, ci fanno accomodare. Ma non nel ristorante, bensì...nelle cucine! E che cucine! Io di cucine professionali ne ho frequentate diverse, ma come questa mai! E lì, ad accoglierci, c'era lo chef. C'è chi si fa la foto con le rock stars o con gli attori famosi, io preferisco farmele con gli chefs.


A quel punto, il "mistero" si è chiarito: avremmo cenato lì, nelle cucine, ad un tavolo speciale, con lo chef che avrebbe cucinato solo per noi!
Prima di "iniziare le danze", ci è stata servita una tazzina di brodo caldo, "spillato" da un pentolone, con mio cognato che si faceva bello ripetendo quello che aveva appena sentito dire da me, circa la funzione degli albumi nel processo di chiarificazione del brodo e ricevendo i complimenti dello chef per la sua competenza...


Questa è la foto dello chef con tutta la sua brigata.


E, sotto quella foto, il nostro tavolo, apparecchiato con una bella composizione autunnale al centro.


Ci indirizzano verso un bancone, dove sono approntati vari stuzzichini, per accompagnare un ottimo Prosecco. Nella foto, un salmone affumicato di alta qualità, un trancio di ricciola, che Mei ha scottato con della salsa di soia ed un filetto di tonno, che ci è stato servito con una salsina allo zenzero.


Prosciutto di Parma ed un tonno sott'olio e delle acciughe cantabriche di una bontà insuperabile.


Pecorino e Parmigiano in scaglie, con varie confetture di accompagnamento e diversi tipi di sott'oli. Posso affermare, con un pizzico di immodestia, che i peperoncini ripieni di tonno, ancorché buoni, erano leggermente inferiori a quelli che preparo io...


Un omaggio alle origini sarde dello chef in questa zuppetta di pane carasau e pomodorini.


Seppioline al vapore



Crema di patate, topinambur e porri, con granella di speck. Peccato che la presenza del topinambur quasi non si avvertisse, perché, per il resto, era eccellente.



Scampi arrostiti alla citronella, con raperonzoli al cacio e pepe e olio ai crostacei.


Risotto alla zucca e arancia con gorgonzola e balsamico


Filetto di merluzzo nero al rosmarino, con carciofi e fumetto alle vongole.


Ribeye Wagyu beef arrostito, con ristretto di fico d'India, olive fresche e verze croccanti. Si scioglieva in bocca!


E, per finire, soufflè al formaggio bianco e timo limone, con passata di cachi e gelato al cioccolato, olio e sale.


Insomma, una cena davvero indimenticabile! 
Non contenti di ciò, per continuare a viziarmi, sabato mi hanno portata nel Monferrato a mangiare il tartufo... Ma questa è un'altra storia...

venerdì 22 novembre 2013

Ancora merende

Anche oggi partecipo, molto volentieri, al Glu-Free (Day). E lo faccio pensando ai bambini celiaci e alle loro mamme, che, non solo devono badare a cucinare piatti compatibili con le restrizioni alimentari dei loro piccoli, ma devono affrontare anche un altro compito, forse persino più arduo: quello di non farli sentire "diversi". Continuo, quindi, la mia promozione delle merende fatte in casa, questa volta, appunto, in chiave gluten free.
Quando ero bambina io, non esisteva tutta questa scelta di merendine: a colazione, nel latte, si inzuppava il pane avanzato dal giorno prima ed i biscotti erano riservati alle occasioni speciali. Le uniche merende non home made che ricordo erano il Ciocorì ed il Buondì. Delle due, io preferivo di gran lunga la prima, per via del cioccolato, ovviamente. 
Quando vivevo a New York, la mia coinquilina mi aveva mostrato come fare il ciocorì in casa, usando i marshmallows. Allora, m'era parsa una cosa geniale, oltre che semplicissima. Oggi, che ho una maggiore consapevolezza per quello che riguarda il cibo, non mi sognerei mai di dare ad un bambino i marshmellows, che, solitamente, sono anche pieni di coloranti. Tuttavia, ho scoperto che si possono fare in casa e non è nemmeno difficile! Volendo, quindi, preparare del ciocorì casalingo, sono partita proprio dalla preparazione dei marshmallows.

Per i marshmallows

Albume                1
Zucchero              250 g
Acqua                  175 ml
Glucosio              1/2 cucchiaio
Gelatina fogli       15 g
Olio di semi
Zucchero a velo
Maizena


Mettere lo zucchero e il glucosio in un pentolino, insieme ad 1 dl d'acqua e farli sciogliere a fuoco lento, portandolo ad una temperatura di 120 gradi. Mettere la gelatina a mollo nell'acqua restante e,una volta ammollata, sciogliere anch'essa a fuoco lento. Unire la gelatina allo sciroppo. Intanto, montare a neve l'albume e aggiungervi lo sciroppo + gelatina ancora caldi, continuando sempre a montare, finché il composto sarà appena tiepido. Ungere una teglia e spolverizzarla con zucchero a velo, mescolato con maizena, in parti uguali. (Io ho usato la carta forno,ma non è stata una grande idea, perché, senza l'olio, il composto si è comunque attaccato alla carta.) Versare il composto nella teglia e pareggiarlo. Io non l'ho pareggiato, perché, tanto, poi, l'avrei dovuto sciogliere. Farlo asciugare per tutta una notte. Volendolo tagliare per servirlo a pezzi, rovesciare il composto su un ripiano abbondantemente spolverizzato di zucchero a velo e tagliarlo con un coltello unto d'olio.

Serviranno, inoltre

Riso soffiato           40 g
Cioccolato al latte  150 g
Sale

Pesare 100 g di marshmallows, metterli in una pentola, insieme al cioccolato a pezzi e sciogliere il tutto a bagnomaria. Quando si è ben sciolto tutto, aggiungere il riso ed un pizzico di sale. Girare accuratamente, in modo che il riso si rivesta bene. Versare il tutto in una teglia rivestita di carta forno e, quando si sarà freddato, tagliare in pezzi.








mercoledì 20 novembre 2013

Con il cuore pesante

Avevo in mente un'altra ricetta per la mia terza proposta per Mangiare Matera, ma le terribili immagini dei telegiornali e le notizie dalla Sardegna mi hanno fatto cambiare idea.
Passo le mie vacanze in Sardegna da più di 30 anni ed amo quell'isola svisceratamente. Dopo tutti questi anni, la sua bellezza riesce ad incantarmi come la prima volta, tanto quanto mi addolora lo scempio edilizio delle sue coste. Ho il cuore stretto per le immagini di quei posti così familiari stravolti dall'alluvione e il pensiero dei tanti morti grava come un macigno. Oggi, le polemiche, gli scaricabarile, i rimbalzi di responsabilità, tutti preoccupati, innanzitutto, di pararsi il culo... Posso dirlo? Che schifo! Sono certa che, anche in momenti così duri per tutti, gli Italiani dimostreranno solidarietà, ma non si possono ignorare le sacrosante riflessioni così chiaramente espresse qui
E' stato così che, ieri sera, con la Sardegna nel cuore e nella mente, m'è venuta un'irrefrenabile voglia di linguine alla bottarga, una specie di sommesso omaggio alla "mia" isola. Un piatto di di una semplicità assoluta, ma che assurge a vette di bontà, grazie alla grande qualità delle materie prime: bottarga di muggine- souvenir prezioso delle vacanze -, pasta di grano duro del magico pacco di Mangiare Matera, olio extravergine d'oliva comprato direttamente al frantoio. Quasi una non-ricetta, un piatto che vive di equilibri. Ho frullato un gambo di sedano  privato dei filamenti, con uno spicchio d'aglio e dell'olio. Ho messo questa emulsione in una larga padella e l'ho fatta scaldare appena. Ho aggiunto delle lamelle di bottarga, affettata con la mandolina e le ho fatte sciogliere a fuoco bassissimo. E' fondamentale che l'olio si scaldi solo quel tanto necessario a permettere alla bottarga di amalgamarsi. Cuocere al dente le linguine, saltarle in padella col condimento e servirle decorando con altre lamelle di bottarga.




martedì 19 novembre 2013

Provenza for ever

Pur essendo stata più volte nel sud della Francia, non avevo mai mangiato uno dei prodotti tipici di quella regione: la fougasse. Non so spiegare il motivo di questa omissione, forse perché mi capitava di vederla in vendita soprattutto nei mercatini, situazione che non mi sembrava il massimo dal punto di vista igienico. Come che sia, ho pensato che fosse il momento di colmare questa lacuna, utilizzando un altro dei prodotti ricevuti per partecipare a Mangiare Matera: la semola rimacinata di grano duro. 
Quando si tratta di lievitati, uno dei miei riferimenti imprescindibili è il mio caro amico Roberto ed a lui mi sono rivolta per una ricetta affidabile della fougasse provenzale. Ne è venuta fuori una vera goduria, qualcosa a metà strada tra un tarallo ed un pane: più morbida del primo e più croccante del secondo. Cosa mi ero persa, finora! Sempre ammesso e non concesso che la fougasse che vendono al mercatino di St. Tropez sia buona quanto questa... Tra l'altro, essendo un impasto diretto, si prepara anche velocemente. La ricetta di Roberto prevedeva farina 0, per cui gli ho chiesto se, secondo lui, potevo sostituirla con la semola rimacinata, e lui  mi ha risposto che mi sarebbe venuta ancora più croccante e profumata. Riporto integralmente la ricetta di Roberto, io ho solo dimezzato le dosi ed usato solo olive nere, perché non avevo quelle verdi.

Fougasse

Per l'impasto

Semola rimacinata di grano duro Senatore Cappelli       250 g
Lievito di birra                                                                 5 g
Olio evo                                                                            2 tbs
Zucchero                                                                           1/2 tbs 
Latte                                                                                  35 ml
Acqua                                                                                100 ml
Erbe di Provenza                                                               1 tbs

Per il topping

Latte                                                                                    15 ml
Olio evo                                                                               30 ml
Semola rimacinata                                                              35 g
Sale
Pepe

Serviranno, inoltre, 15-20 olive, snocciolate e tritate.
                   


Mettere in un ciotola tutti gli ingredienti per l'impasto, tranne il sale e le erbe aromatiche, che andranno aggiunti quando il tutto sarà stato ben impastato. Stendere l'impasto, formando un rettangolo. Spennellare l'impasto con il topping e distribuirvi sopra le olive. Ripiegare in 3, come se fosse una lettera, ripassare col matterello e far lievitare per un'ora. Ritagliare dall'impasto delle foglie e inciderle, fomando delle fessure che ricordino le nervature delle foglie. Spennellare con olio evo ed infornare a 210 gradi con forno ventilato per 15 min.










lunedì 18 novembre 2013

Una pasta eccezionale.

Qualche sera fa, mio marito è tornato a casa con un grosso scatolone e mi fa: "Stasera, ho fatto un figurone in portineria. Salvatore (il portiere n.d.r.) ha fatto cenno a me e ad un altro signore di fermarci ed ha consegnato a me questa scatola enorme e all'altro signore un pacchettino miserrimo!" Si trattava della scatola contenente i prodotti inviatimi per partecipare al concorso Mangiare Matera, ospitato dal blog Scatti golosi. Non c'è niente da fare: l'arrivo di un pacco, anche se sai perfettamente cosa contiene,  riempie di un'aspettativa gioiosa, come se fosse arrivato Babbo Natale.  L'ho aperto ed ho tirato fuori tutte le cose buone che conteneva. 

Per prima cosa, ci siamo fatti fuori un paio di fette di pane di Matera con della buona soppressata calabrese, poi, il pacco di semola mi ha fatto venire voglia di uno dei miei comfort food preferiti: il semolino. Avevo sentito parlare ripetutamente del grano duro Senatore Cappelli, ma non avevo mai avuto occasione di provare la farina di semola da esso ottenuta. Bè, è stata una rivelazione: un semolino come quello non l'avevo mai mangiato!
Dopo questo primo approccio, ho cominciato a strologare sulla ricetta da preparare per il concorso. Mille idee si affacciavano alla mente, venivano scartate, riprese, senza riuscire a decidermi. Di una sola cosa ero certa: volevo usare quella semola per una pasta fatta in casa. Alla fine, mi son ricordata di un piatto assaggiato da Aimo e Nadia: tagliatelle al cioccolato con ragù di cinghiale. Ma, prima ancora che io partissi alla non facile ricerca della carne di cinghiale, mio marito ha manifestato scarsissimo gradimento per la stessa. Ora, essendo lui il mio unico commensale, potevo mai scontentarlo? Ho pensato, quindi, di fare delle tagliatelle al ragù d'anatra, ma, poi, è capitato che mio marito vedesse preparare, in tv, della pasta alla chitarra e mi ha chiesto di fargliela. Anche qui: potevo mai dirgli di no? C'è da dire, però, che la mia pur sovradimensionata dotazione di attrezzature da cucina non contempla la chitarra. In compenso, ho una vetustissima Pastamatic, ereditata da mia madre, che avrà quasi 40 anni, ma che ancora il suo lavoro lo fa, specie in occasione della preparazione dei chili e chili di struffoli che preparo a Natale. Tra l'altro, rispetto ai modelli più recenti, la mia macchina ha in dotazione trafile di bronzo e non di plastica, trafile che, come tutti sanno, conferiscono una piacevole ruvidità alla pasta. E, tra queste trafile, ho proprio quella della pasta alla chitarra. E così, ieri mattina, mi son dedicata alla preparazione. Il risultato è stato eccellente: una pasta "callosa" e saporita, che ha retto benissimo, fino alla fine, nonostante la lentezza da bradipo con cui mangia mio marito. E il ragù, con l'aroma conferitogli dall'arancia, per noi che non siamo abituati a mangiare quel tipo di carne (il mio macellaio ci ha messo una settimana per procurarmela...), è stato una piacevolissima sorpresa.


Pasta alla chitarra con ragù d'anatra all'arancia (x 3)

Per la pasta

Semola di grano duro Senatore Cappelli          200 g
Farina 00                                                            50 g
Uova                                                                  2 e 1/2

Impastare bene la farina con le uova. Avvolgere la pasta nella pellicola e farla riposare mezz'ora, prima di tirare la sfoglia. Tagliare gli spaghetti. Mettere gli spaghetti alla chitarra ad asciugare.


Per il ragù

Petto d'anatra                   1
Cipolla                             1/2
Sedano                             1 costa
Arancia                            1
Olio evo                           2 cucchiai
Salvia 
Sale

Spellare il petto d'anatra , disossarlo e tritarlo a coltello. Mettere la pelle in un tegame e farla rosolare, in modo che rilasci il suo grasso. Levare la pelle e, nello stesso tegame, scaldare l'olio. Aggiungere la cipolla ed il sedano tritati e rosolare a fuoco lento, sfumando, quando necessario, con metà del succo dell'arancia. Quando le verdure saranno disfatte, aggiungere la carne e qualche foglia di salvia. Cuocere per una decina di minuti, sfumando col resto del succo d'arancia. Salare. Lessare al dente gli spaghetti alla chitarra e saltarli velocemente nel tegame col ragù. Impiattare, decorando con zeste d'arancia e qualche foglia di salvia.






Con questa ricetta partecipo al Concorso Mangiare Matera.


venerdì 15 novembre 2013

Castagne e cioccolato

A me le castagne piacciono tantissimo: lesse, arrostite, nei dolci (mont blanc uber alles!) e, last but not least, la confettura. Tuttavia, di fatto, le mangio molto raramente e dolci con le castagne ne ho fatti ancora più di rado, perché, onestamente, sbucciare le castagne è un lavoraccio... Ci voleva l'MTC per farmele affrontare! E' stato così che, domenica scorsa, ho passato due ore e mezza a pelare e schiacciare castagne, per preparare la confettura, con la collaudatissima ricetta di Serena. Bé, ne è valsa la pena, perché quella che ho invasato era pura libidine. Ho cambiato solo due cose: non ho messo il caffè, perché volevo che il sapore della castagna risaltasse in purezza e, invece del cognac, ho usato del rum.

Confettura di castagne

Polpa di castagne               1 k
Zucchero                           700 g
Acqua                               1/2 bicchiere
Cacao amaro                     25 g
Rum cubano                     2 bicchierini
Vainiglia                          1 baccello          

Lessare le castagne e, quando son cotte, tagliarle a metà e scavare la polpa col cucchiaino. Schiacciare la polpa così ottenuta col passapatate. Versare lo zucchero in una pentola e bagnarlo con l'acqua. Aggiungere i semini della bacca di vainiglia e far sciogliere lo zucchero a fuoco lento. Sciogliere il cacao nel rum ed aggiungerlo allo zucchero ormai sciolto. Versare lo sciroppo di zucchero sulla purea di castagne e rimettere il tutto sul fuoco per circa 20 minuti. Invasare la confettura ancora calda in barattoli sterilizzati. Battere i barattoli su un canovaccio ripiegato più volte, per far uscire le bolle d'aria, Quando la confettura si sarà freddata, versare sulla superficie di ogni barattolo un cucchiaino di rum. Chiudere i barattoli.
Bene, mi son detta, e adesso che ho la confettura, cosa posso farci, oltre che resistere alla tentazione di mangiarmela a cucchiaiate direttamente dal barattolo? Una serie di idee mi si sono affacciate alla mente, ma mi sembravano tutte troppo sofisticate e, quindi, lontane dal tema della cucina povera. Alla fine, mi son decisa per dei cioccolatini che, forse, proprio poveri non sono, ma che, almeno, non richiedono tecniche sofisticate. Sto parlano dei cuneesi al rum. Ovviamente, la vera ricetta è gelosamente custodita dalla ditta che li produce, ma girovagando in rete, mi son fatta un'idea degli ingredienti irrunciabili: castagne, meringa, rum e cioccolato. Su queste basi, ho provato a fare i miei

Simil-cuneesi al rum

Per la meringa

Albume         30 g
Zucchero       60 g

Montare gli albumi a neve soda. Aggiungere lo zucchero, continuando a montare con le fruste, fino ad ottenere un composto lucido e sostenuto. Data l'esigua quantità e visto che la meringa doveva scomparire dentro i cioccolatini, non mi è parso il caso di sporcare un sac a poche, per cui mi sono limitata a depositare un po' di composto su una teglia rivestita di carta forno semplicemente con l'aiuto di due cucchiaini. E, poi, erano carini questi batufolletti di meringa, dalla forma irregolare... Infornare a 60 gradi per un'ora e mezza.




La confettura di castagne, ovviamente, è molto morbida ed appiccicosa, per cui non è possibile manipolarla con le mani. Ho, quindi, preso due cucchiaini ed ho formato delle specie di quenelle, mettendo al centro di ognuna una meringhetta. Ho depositato le quenelle su un tagliere rivestito di carta forno e le ho messe in freezer a consolidarsi.
Ho sciolto del cioccolato fondente a bagnomaria e ci ho immerso le quenelle, in modo da rivestirle per bene. Una volta raffreddato il cioccolato di rivestimento, ho sciolto un po' di cioccolato bianco e, con l'aiuto di un cornettino, ho disegnato delle strisce sui cioccolatini.




Con questa ricetta, partecipo non solo all'MTC, ma raccolgo anche l'invito della mia amica Stefania, per il suo Glu-Free(day).


mercoledì 13 novembre 2013

La via di Damasco


Mia suocera era una donna di casa perfetta, al limite (ed oltre...) del maniacale per tutto ciò che riguardava ordine e pulizia. Era, però, assolutamente negata in cucina. Di più: di fondo, non le piaceva mangiare e giudicava la cucina un' attività che sottraeva tempo al suo scopo principale: pulire. 
Per sua fortuna, c'è sempre stato chi cucinasse al suo posto, ma, man mano che le rubizze popolane partenopee, venivano sostituite da esotiche colf, provenienti da mezzo mondo, il livello di ciò che si mangiava a casa loro iniziò a declinare sempre più. E, comunque, anche la migliore delle cuoche si scontrava con le direttive di mia suocera, che imponeva di cucinare al mattino presto, per poi riscaldare il tutto ad ora di pranzo... 
L'aneddotica familiare è ricca di "racconti dell'orrore", come quando mio suocero, un Natale, ebbe regalato un pollo ruspante, che fu messo in pentola con tutte le interiora, riempiendo la casa di miasmi, che impiegarono un paio di giorni a dissolversi. Io stessa ricordo nequizie come uno spaghetto alle vongole, fatto con passata (sic) di pomodoro (tanta!) e vongole Findus o degli involtini, preparati avvolgendo una fettina sottile di carne attorno ad una carota INTERA! e stracotti ( e già, altrimenti come avrebbe fatto la carota a cuocersi?...), fino a diventare coriacei. Per questo motivo, una volta sposata, preferivo di gran lunga invitarli da me, piuttosto che andare da loro. Avrei voluto farvi vedere lo sguardo grato che ogni volta mi rivolgeva mio suocero, quando si accomiatavano. Del resto, poverino, 67 anni di matrimonio, mangiando sempre in quel modo...
In breve, io non sono una di quelle mogli che han dovuto sentirsi ripetere dal marito, con toni nostalgici: "Eh, però, come lo faceva mia madre..." Anzi, io sono solita ironizzare, dicendo che lui mi ha incontrata sulla via di Damasco, per essere salvato da un'alimentazione a base di panini (preferiva quelli alle nefandezze che si perpetravano nella cucina di casa sua) ed iniziato ad un nuovo universo di sapori. Sia chiaro: ce ne ho messo di tempo ad educarlo, a vincere la sua istintiva diffidenza verso la sperimentazione (per lui era esotico anche un risotto al taleggio, per dire), ma, oggi, dovreste sentirlo come disquisisce di alveolature, texture e abbinamenti, manco fosse lui quello che studia, si documenta  e cucina! 
Per questo MTC, che, anziché avere come tema una ricetta specifica, è centrato su un ingrediente - la castagna - e sulla cucina povera, mi è venuta un'idea  che temevo avrebbe messo a dura prova la sua capacità di affrontare i miei esperimenti. Si perché, per lui, la castagna si identifica, sostanzialmente, con la caldarrosta o, al massimo, con un Mont blanc o con dei marron glacé, ma che potesse entrare in una preparazione salata è un'idea che non rientrava nei suoi orizzonti, pur così ampliati dall'incontro con la sottoscritta. E, invece, gli è piaciuta! Al punto di invitarmi a ripeterla, prima che anche questa ennesima ricetta finisca nell'archivio dimenticato dei "one shot". Devo dire che anche io son rimasta soddisfatta. Dei due gusti fondamentali della farina di castagne, il dolce ha trovato il giusto bilanciamento nell'amarognolo del radicchio ed il retrogusto affumicato della farina è stato esaltato dalla pancetta.

Gnocchetti di castagne al radicchio (x 2-3)

Patate                        500 g
Farina di castagne     140 g
Radicchio                 1/2 cespo
Pancetta affumicata   60 g
Aglio                         1 spicchio
Olio evo                    2 cucchiai

Lessare le patate con la buccia e, ancora calde, schiacciarle con lo schiacciapatate. Impastare le patate con la farina di castagne.



Formare dei cilindretti d'impasto e tagliarli a tocchetti.


Privare le foglie del radicchio della parte più dura della costola centrale, sciacquarlo, sgocciolarlo e tagliarlo a striscioline. In una larga padella, rosolare nell'olio l'aglio ed i dadini di pancetta. Versare gli gnocchetti in acqua salata a bollore e, quando vengono a galla, tirarli su con la schiumarola e saltarli in padella col radicchio.







domenica 10 novembre 2013

One shot

Spesso mio marito mi rimprovera di preparare un piatto eccezionale per poi non rifarlo mai più. In effetti, ha ragione, ma come si fa? Le idee che mi frullano per il capo sono tante, la lista delle ricette che vorrei provare si allunga sempre di più e noi siamo solo in due... Insomma, l'urgenza della sperimentazione fa si che molte ricette, pur validissime, cadano nel dimenticatoio.
Questa volta, però, volendo partecipare al contest di Vaty, che ha come tema le contaminazioni tra varie tradizioni gastronomiche, mi son ricordata di una ricetta che avevo preparato qualche anno fa e che mi sembrava incarnare perfettamente lo spirito di questa gara. In essa, infatti, il gattò di patate, uno dei grandi classici della cucina partenopea (ed uno dei piatti che amo di più, in assoluto)  ha un tocco esotico, dato dal curry.


Gattò di patate con fonduta al curry


Ingredienti  (x 4)

Polpettine:

Carne macinata      150 g
Pan carré                2 fette
Tuorlo                   1
Parmigiano            1 cucchiaio
Olio per friggere
Sale

Gattò:

Patate                  800 g
Burro                  100 g
Uova                    2
Mozzarella          120 g
Parmigiano           3 cucchiai
Sale q.b.
Pan grattato          2 cucchiai

Fonduta:

Panna fresca         200 g
Parmigiano           100 g
Tuorlo                 1
Curry                   2 cucchiaini

Mettere a mollo le fette di pan carré, private della scorza e strizzarle bene; aggiungerle alla carne, insieme al tuorlo, al sale e al parmigiano. Impastare e formare delle polpettine non più grandi di una nocciola. Friggerle in abbondante olio caldo.
Lessare le patate, sbucciarle e schiacciarle col passapatate; aggiungere il burro, le uova, il parmigiano ed il sale, amalgamando bene il tutto. Imburrare 4 stampini monoporzione e spolverarli di pan grattato. Mettere parte dell’impasto di patate negli stampini e, con un cucchiaio, fare un incavo,nel quale andranno messe un po’ di polpettine e dei dadini di mozzarella. Coprire con altro passato di patate, spolverare di pan grattato e aggiungere un fiocchetto di burro. Infornare a 180 gradi per 20 min. Scaldare la panna, aggiungere il parmigiano, il curry ed il tuorlo. Sformare i gattoncini e napparli con la fonduta.












giovedì 7 novembre 2013

Cioccototò


Questa ricetta, prima o poi, doveva arrivare qui, anzi è strano che non l'abbia pubblicata prima, perché questo è uno dei miei cavalli di battaglia, un dolce che mi ha dato tante soddisfazioni, visto che è sempre piaciuto tantissimo, ogni volta che l'ho proposto.
Però, solitamente, io lo faccio con una frolla al cacao e orange curd. Stavolta, tuttavia, mi son trovata a doverlo preparare all'ultimo momento, con quello che avevo in casa. E in casa avevo una frolla "bianca" in freezer e delle splendide clementine, appena arrivatemi direttamente dalla Calabria e, quindi, perché non fare un clementine curd?... E il cioccolato ce l'ho messo comunque, perché l'abbinamento cioccolato/agrumi mi piace troppo. Ed ecco a voi questa versione insolita del mitico tortino.

Cioccototò (x 4)

Per la pastafrolla

Farina 00                   200 g
Burro                        100 g
Tuorli                        2
Zucchero                  80 g
Buccia di limone

Strofinare tra le dita la farina, col burro e lo zucchero, ottenendo un briciolame grossolano. Aggiungere il burro a tocchetti e la scorza di limone grattugiata (avessi fatto la pastafrolla al momento, ci avrei, ovviamente, messo buccia di clementine) e impastare velocemente. Avvolgere nella pellicola e mettere in frigo per mezz'ora.

Clementine curd

Succo                 150 ml    
Burro                  105 g                     
Zucchero            128 g                     
Tuorlo                 1
Uova                   3                         
Maizena             42 g

Mettere in un pentolino il succo delle clementine, lo zucchero, la maizena e le uova più il tuorlo. Sciogliere il tutto a freddo, con una frusta. Cuocere a bagnomaria, finché la crema si addensa. Fuori dal fuoco, aggiungere il burro ammorbidito a tocchetti, lavorando con la frusta. Coprire con pellicola a contatto. Una volta raffreddata la crema, metterla in frigo.

Serviranno, inoltre

Zucchero di canna         2 cucchiai
Cioccolato fondente      80 g

Rivestire 4 tartellette da 8 cm di diametro con la pasta frolla. Bucherellare il fondo con i rebbi di una forchetta, rivestirle di carta forno e poggiarci sopra del fagioli secchi. Infornare a 170 gradi per circa 15 min. Appena uscite dal forno, levare i fagioli e distribuire nelle tartellette il cioccolato ridotto in scaglie; col calore, il cioccolato si fonderà e rivestirà la pastafrolla. Una volta fredde, levare i gusci di frolla dagli stampini. Togliere la crema dal frigorifero e lavorarla un po' con un cucchiaio, per renderla più fluida. Riempire le tartellette con la crema. Distribuire su ogni tortino lo zucchero di canna e, con un cannello, caramellare lo zucchero.