giovedì 23 giugno 2016

Timpano del cardinale per un marito con le fisime

Avevo già fatto una versione eretica del timpano del cardinale, sostituendo la pasta col riso. Questa volta, ne ho fatta una versione semplificata, più adatta ai gusti del mio unico commensale, che i pomodorini li scarta...

Timpano del cardinale alla mia maniera (x 2-3)

Pasta formato sigarette                      200 g
Passata di pomodoro                         200 g
Pan grattato                                       80 g
Stracciatella di burrata                      60 g
Pomodorini                                        6
Olio evo                                             2 cucchiai
Parmigiano                                        1 cucchiaio
Pecorino                                            1/2 cucchiaio
Aglio                                                  1 spicchio
Origano                                             1 cucchiaino
Basilico
Sale

Taglia i pomodorini a metà, togli i semi, spolverizzali con un po' di sale e mettili capovolti su una gratella a fare acqua.
Metti in una ciotola la passata di pomodoro, insieme ad un cucchiaio d'olio e ad un po' di sale; copri con pellicola che vada nel microonde e cuoci nel microonde, alla massima potenza, per 5 minuti.
Metti nel frullatore il pan grattato, l'aglio, l'origano, il basilico, un cucchiaio d'olio, un cucchiaio d'acqua, l'acqua tirata fuori dai pomodorini ed un po' di sale; frulla in modo da amalgamare il tutto.
Riempi con questo composto i pomodorini, tenendo da parte il composto che avanzerà. Evita di mangiarlo così com'è, anche se la tentazione sarà grande...
Lessa molto al dente la pasta in acqua bollente salata, scolala e condisci la pasta col sugo di pomodoro, meno un cucchiaio, che andrà sul fondo della pirofila. Aggiungi il Parmigiano ed il pecorino grattugiati, altro basilico ( il punto di forza di questo piatto sono i profumi) e la stracciatella. Mescola bene, aggiungendo anche il composto di pan grattato avanzato.
Versa la pasta nella pirofila e coprila con i pomodorini farciti e capovolti. Irrora con un filo d'olio ed inforna a 180 gradi per 30-35 minuti.




mercoledì 22 giugno 2016

Calamari a modo suo

Seguo da tempo il blog di Pasqualina ed ho sempre ammirato la sua bravura. Quando qualcuno mi chiede come faccia io a preparare, da sola, buffet per tante persone, penso a quelli che prepara Pasqualina e, immediatamente, il mio impegno mi sembra risibile, rispetto al suo.
Questa conoscenza virtuale ha avuto modo di concretizzarsi, lo scorso aprile, quando, finalmente, ci siamo incontrate a Paestum, in occasione de Le strade della mozzarella ed è stato lì che ho avuto la conferma di ciò che avevo già intuito: Pasqualina non è solo un'ottima cuoca, ma anche una persona simpaticissima, spontanea e solare.
Con queste premesse, è stato inevitabile che, facendo una ricerca per una ricetta di calamari ripieni diversa dal solito, la mia scelta sia caduta, sulla fiducia, su una ricetta di Pasqualina. E bene ho fatto a fidarmi, perché i calamari, cucinati in questo modo, son piaciuti davvero a tutti.
Ho apportato qualche piccola modifica, dettata dalle disponibilità della dispensa: aglio al posto dello scalogno ( mi dispiace per Cracco, ma non ne avevo...) e mozzarella al posto della scamorza affumicata. Sono convinta che quest'ultima ci sarebbe stata meglio, ma mi ritrovavo della mozzarella da dover smaltire.

Calamari ripieni a modo suo

Calamari medi                             10
Patate                                           200 g
Melanzana                                   1
Zucchine piccole                         200 g
Mozzarella                                  300 g
Olio evo                                      100 ml
Vino bianco                                 50 ml
Aglio                                           1 spicchio
Origano
Sale
Pepe     

Tagliare le verdure a dadini piuttosto piccoli e rosolarle, separatamente, nell'olio in cui si sarà fatto imbiondire l'aglio. Metterle in una ciotola, salarle, peparle ed aggiungere l'origano.
Eviscerare e spellare i calamari e tritare i tentacoli; saltare questi ultimi brevemente nella padella in cui si saranno cotte le verdure.  Aggiungerli al resto del ripieno, insieme alla mozzarella tagliata a dadini e fatta sgocciolare in un colapasta.  
Prendere le sacche dei calamari, praticarvi una piccola incisione all'estremità caudale (serve a far uscire l'aria, quando li si riempie) e farcirle col ripieno. Chiudere con degli stuzzicadenti, oppure (metodo inventato da mio cognato e molto più efficiente degli stuzzicadenti) ritagliare  da dei contenitori di alluminio usa e getta dei dischi, che vanno posizionati come una specie di "tappo", che chiude l'apertura delle sacche. Rosolare per un paio di minuti i calamari nella padella in cui si sono cotte le verdure, sfumare col vino e proseguire la cottura in forno a 180 gradi, fino a che i calamari saranno teneri.          


lunedì 20 giugno 2016

Margherita, Margheritae, Margheritae

Per questo MTC n. 58, la nostra cara Antonietta ha proposto una sfida che tutti aspettavamo da tempo: la pizza. E come potevamo mancare di cimentarci sul piatto universalmente più conosciuto ed amato della cucina italiana? 
Dice: tu parti avvantaggiata, visto che sei napoletana... Macché! Perché io, di fatto, la pizza in casa non la faccio mai, visto che mi basta - letteralmente - uscire di casa, attraversare la strada ed andare a mangiare la pizza fatta da uno dei migliori pizzaioli napoletani e, quindi, del mondo.
In realtà, quando i miei figli erano piccoli, mi capitava di farla, ma facevo quella in teglia, che, per quanto buona, io non riesco a considerare una vera pizza. Poi, la faccio in vacanza, ma lì ho a disposizione il forno a legna, quindi è diverso.
Il fatto è che, come sempre capita con le cose che si amano (ed io la pizza la adoro!), quando si tratta di pizza, io divento talebana. E, quindi, persino a Napoli, sono molto pochi i pizzaioli che io reputo degni di tal nome. Inoltre, per me, pizza significa Margherita (col fior di latte, come da tradizione, e non con la mozzarella di bufala, che è troppo acquosa) o, al massimo, calzone. Non amo le pizze condite con qualunque cosa (vogliamo parlare di abomini come la pizza con wurstel e patatine?...) e nemmeno le pizze cosiddette "gourmet", che costano quanto un piatto di linguine all'aragosta. La pizza nasce come piatto povero e non vedo la necessità di snaturarne l'identità mettendoci del tartufo o il formaggio prodotto da quell'unica, sperduta malga trentina, con latte di mucche che brucano solo stelle alpine.
Insomma, quando parliamo di pizza, divento una gran rompiscatole. 
Tutto questo preambolo era necessario per spiegare perché io abbia scelto, per questa sfida, di fare solo la pizza tonda e di fare la Margherita. Tuttavia, partendo dall'assunto che la Margherita è una pizza che prevede pomodoro più un latticino, ho fatto una "declinazione" di pizze, associando il pomodoro in varie forme con latticini diversi. Inoltre, ho adottato la doppia cottura, utilizzando prima il testo in pietra lavica ( potevo mai lasciarmi sfuggire l'occasione di acquistare un'ennesima caccavella?...), arroventato sul fornello e poi passato, dopo aver aggiunto il condimento, sotto il grill del forno.
Il risultato è stato strabiliante: per la prima volta, grazie alla ricetta e alle indicazioni preziose del nostro terzo giudice, sono riuscita a fare, in casa, una pizza che aveva poco da invidiare ad una pizza fatta col forno a legna, al punto che sto meditando di portarmi il testo anche in Sardegna...
Per l'impasto, rigorosamente a mano, riporto quanto scritto da Antonietta:
Impasto per pizza

Idratazione 55%
Ingredienti
450 g di farina
250 ml di acqua
12 g di sale
1 g di lievito di birra

Procedimento
Misurare l’acqua, versarla in una ciotola, prelevarne una piccola quantità in due tazzine differenti: in una sciogliere il sale, nell’altra il lievito di birra.
Versare il contenuto con il lievito di birra nella ciotola con l’acqua e iniziare ad aggiungere gradualmente e lentamente la farina setacciata a parte, incorporandola man mano all’acqua, poi finita la farina aggiungere il sale sciolto in acqua, continuare ad amalgamare  fino a raggiungere il “punto di pasta”. Il disciplinare dice che questa fase deve durare 10 minuti, a me è durata circa 5/6 minuti.
Ribaltare sul piano da lavoro e lavorare 20 minuti. Non sottovalutare questo tempo: è estremamente necessario per ottenere un impasto non appiccicoso, morbido ed elastico e una pizza soffice e asciutta.
Piegare e schiacciare ripetutamente, poi all’avvicinarsi dei 20 minuti l’impasto diventerà morbido e sempre più cedevole e infine avrà un aspetto setoso.
A questo punto riporlo in una ciotola di vetro o porcellana, coprire con pellicola e lasciar lievitare per 2 ore.
Procedere alla staglio a mano.  Il disciplinare consiglia di ottenere dei panetti da un peso compreso tra i 180 e 250 g che corrispondono a tre/quattro panetti; dovendo usare un forno casalingo vi consiglio di ottenerne quattro.
Riporli su un telo non infarinato, perché essendo un impasto ben incordato, non si attaccherà durante la lievitazione, e lasciar quindi lievitare per altre 4/6 ore a una temperatura di 25°C (come previsto dal disciplinare).
Riscaldare il forno alla massima temperatura insieme alla teglia che servirà per la cottura, senza mai aprire lo sportello. Una volta che i panetti sono lievitati stenderne uno alla volta su un ripiano, stavolta va bene anche il legno, spolverato con farina di semola, senza usare il mattarello ma allargandolo con le mani, dal centro verso il bordo e poi, come fanno i pizzaioli veri, facendolo debordare roteandolo, in modo che avvenga un’estensione più delicata.
Prelevare lo stampo dal forno, trasferirci il disco di pizza, senza oliare, condire e infornare per 5 minuti al ripiano più basso, poi altri 4/5 minuti nel ripiano più alto. (il disciplinare prevede 90 secondi di cottura in forno a legna)
C’è un secondo modo di cottura, forse migliore rispetto al primo, perché produce immediatamente il classico cornicione alto tipico della pizza napoletana.
Scaldare il forno come per l’altro procedimento e scaldare contemporaneamente una padella di pietra o ghisa o comunque dal fondo spesso sul fornello della cucina, fino  a vederla “fumare”. Trasferirci il disco di pizza senza condire e lasciar cuocere per 2 minuti. Nel frattempo estrarre lo stampo  dal forno, trasferirci la pizza, condirla velocemente e lasciar cuocere in forno, nella parte più alta per 4/5 minuti e comunque finchè non risulti bella dorata.





Per quanto riguarda il condimento, la prima l'ho condita con pomodori datterini e stracciatella di burrata.





La seconda, con passata di pomodoro, fior di latte e polvere di capperi.



La terza con ragù napoletano e provola affumicata. Su tutte e tre, una spolverata di Parmigiano grattugiato e qualche foglia di basilico.




venerdì 17 giugno 2016

Il nocciolo della questione


Anche quest'anno, faticosamente corteggiando un fruttivendolo esoso e poco simpatico, sono riuscita a procurarmi delle amarene, per preparare le amarene sciroppate. Si tratta di una preparazione che cerco di fare ogni anno, perché non c'è paragone tra le amarene fatte in questo modo e quelle che si trovano in vendita. Certo è un po' laboriosa, specie la fase dello snocciolamento. E, allora, perché non sfruttare al meglio il tempo dedicato a questa operazione, utilizzando i noccioli, anziché gettarli? 
Un uso non alimentare dei noccioli consiste nel ripulirli molto bene, farli asciugare e metterli in un sacchetto, che, scaldato al microonde e poggiato sulla parte interessata, serve a dar sollievo ai dolori articolari.
Oppure, si possono usare per preparare un liquore casalingo, ottimo sia per essere sorseggiato che per essere utilizzato nei dolci. La preparazione è molto semplice.

Rosolio di amarene

Amarene                                       1 k
Alcool                                           500 ml
Zucchero                                       500 g
Acqua                                           500 ml

Snocciolare le amarene (ma anche le ciliegie vanno bene) e mettere i noccioli in un barattolo, insieme ad una decina di frutti interi. Versare nel barattolo l'alcool, chiudere e lasciare in infusione per 45 giorni, scuotendo, di tanto in tanto, il barattolo.
Trascorsi i 45 giorni, filtrare l'alcool ed aggiungerlo ad uno sciroppo preparato sciogliendo sul fuoco lo zucchero nell'acqua. Bisogna solo avere l'accortezza di aspettare che lo sciroppo sia quasi completamente freddo, prima di aggiungere l'alcool.


Questi sono i noccioli e le amarene, appena messi nell'alcool. Per la foto del "prodotto finito", ci si rivede a fine luglio.

giovedì 16 giugno 2016

Gli involtini tradizionali

La giornata odierna del Calendario del Cibo Italiano, iniziativa promossa da AIFB per celebrare la ricchezza della nostra tradizione gastronomica, è dedicata agli involtini e Valentina De Felice ne è l'ambasciatrice.
Gli involtini di carne sono una di quelle preparazioni così basilari, che si ritrovano praticamente, in tantissime tradizioni gastronomiche. Tuttavia, grazie alla loro versatilità, spostandosi anche solo di pochi chilometri, è possibile trovare ricette diverse, sia nel tipo di carne utilizzata, che nella cottura, che nel ripieno. Tra l'altro, aggiungere un ripieno era un "trucco", in un passato meno ricco, che permetteva di mettere assieme porzioni adeguate, pur utilizzando una quantità ridotta di carne, rappresentata da fettine molto sottili, tali da poter essere arrotolate. 
A Napoli, gli involtini si chiamano braciole (laddove, nel resto d'Italia, le braciole sono un taglio di carne da cuocere, appunto, alla brace) e sono uno degli elementi classici del ragù napoletano. Infatti, il nostro ragù può essere preparato o utilizzando un solo tipo di carne - bovina o suina - oppure con un tripudio di carni miste, che comprendono un pezzo di carne bovina, delle spuntature di maiale e,appunto, delle braciole. La caratteristica dei nostri involtini è il ripieno, fatto da uvetta passa e pinoli, in un accostamento dolce/salato che, un tempo, era molto più comune di oggi. Si potrebbe obiettare che questa non sembra una scelta molto economica, visto che i pinoli costano più della carne, ma, a parte  il fatto che la quantità che si utilizza è ridotta, bisogna ricordare che, una volta, i pinoli, al pari delle castagne, non si compravano né si "coltivavano", ma, semplicemente venivano liberamente raccolti nelle pinete, che da noi non sono mai mancate. Basti pensare che, nella tipica "cartolina di Napoli", protagonista, assieme al Vesuvio e al golfo, c'è proprio lui: il pino marittimo.

Braciole al ragù

Per gli involtini
                                                                          
                                                        6 fettine
Prosciutto crudo                              60 g
Provolone grattugiato                      2 cucchiai
Uvetta passa                                   2 cucchiai
Pinoli                                               2 cucchiai
Aglio                                               1 spicchio
Prezzemolo

Tritare finemente a coltello l'aglio col prezzemolo (io ho omesso il prezzemolo, perché ho un rapporto ambivalente con questa erba...chissà, magari, in un'altra vita, sono stata un pappagallo e sono morta proprio a causa del prezzemolo!). Appiattire col batticarne le fettine di carne, disporre sopra ad ognuna  una fettina di prosciutto, un po' di battuto, l'uvetta, i pinoli ed un po' di provolone grattugiato. Ripiegare i lati lunghi della fetta sul ripieno ed arrotolare partendo dal lato corto. Fermare l'involtino con due stuzzicadenti.




Per il ragù

Passata di pomodoro                   1,2 l
Concentrato di pomodoro             1 lattina
Cipolla grande                              1    
Olio evo                                        40 g
Vino rosso                                    1 bicchiere
Sale

Inoltre

Controlacerto                                6 fettine sottili

(Da quando, qualche mese fa, ho acquistato una slow cooker, ho scoperto quanto sia comodo usarla per preparare il ragù: niente più schizzi  a decorare gli angoli più remoti della cucina e, soprattutto, nessun bisogno di girare continuamente il sugo, durante la sua cottura, per timore che attacchi sul fondo. E non c'è niente di peggio del ragù "pigliato sotto", come si dice da noi. )
Mettere in un tegame l'olio e far rosolare dolcemente la cipolla tritata fine; sfumare, di tanto in tanto col vino. Quando la cipolla si sarà disfatta, levarla dal tegame, sgocciolandola dall'olio e metterla nella slow cooker. Mettere nel tegame gli involtini e farli rosolare a fuoco vivace; quando si saranno dorati, mettere anche loro nella slow cooker, olio di cottura compreso. Aggiungere la passata ed il concentrato. Salare e cuocere a temperatura 2 per 7 ore, avendo cura di posizionare un cucchiaio di legno sotto il coperchio, in modo da lasciare uno spiraglio per l'evaporazione dell'acqua.                          



venerdì 3 giugno 2016

Leggeri come nuvole

Da qualche tempo, a Napoli, sembrano tutti impazziti per un nuovo dolce: i fiocchi di neve, creati dalla pasticceria Poppella alla Sanità. E, si sa, quando una cosa ha successo, scatta subito l'emulazione. Quindi, pasticceri e dilettanti, tutti a cercare di scoprire il segreto  celato nei fiocchi di neve.
Ammetto di non aver mai provato né gli originali (la Sanità? non ci sono mai stata...), né le imitazioni, però, quando, nel gruppo FB di Adriano e Paoletta, si è deciso di fare una sperimentazione collettiva della ricetta messa a punto da Porzia Pecora e che sembrava avvicinarsi molto, ho aderito entusiasticamente.
Come ho detto, non posso dire se fossero paragonabili ai veri fiocchi di neve, sta di fatto che ci son davvero piaciuti: briochine sofficissime, farcite con una crema voluttuosa. Mi sa che anche questa volta un'escursione alla Sanità è rimandata, ed è un peccato, perché è un quartiere che accoglie meraviglie come questa (foto di Giancarlo De Luca).


Nuvolette

Per le brioche (x 55 pz)

Farina W 300                              500 g
Latte                                           100 g
Yogurt greco 0%                        150 g
Zucchero                                    100 g
Uova                                           2
Tuorlo                                         1
Burro fuso                                  60 g
Miele                                         1 cucchiaino
Lievito di birra                           12 g
Sale                                            7 g
Liquore d'arance                        2 cucchiai

Sciogliere nel latte tiepido un cucchiaino di miele ed il lievito sbriciolato, aggiungere 90 g di farina, mescolare, coprire con pellicola e far lievitare per circa un'ora e mezza.
Trascorso questo tempo, aggiungere le uova, il tuorlo, metà della zucchero ed una parte di farina. Lavorare nella planetaria con la foglia, incordando bene l'impasto. Continuare, aggiungendo lo yogurt in tre riprese e il resto della farina e dello zucchero  un po' alla volta. Aggiungere il resto del miele, il sale ed il burro, che andrà inserito molto gradualmente. Da ultimo aggiungere il liquore (nella ricetta di Adriano si parla di rum, ma io ho optato per il mio liquore di arance fatto in casa). Quando l'impasto sarà ben incordato ed una piccola porzione d'impasto, stesa tra le dita, formerà un velo trasparente, senza strapparsi,, coprire con pellicola e far lievitare per un'altra ora e mezza.
Stendere l'impasto sulla spianatoia infarinata, dargli un paio di pieghe del tipo 2, ungersi le mani con un po' di burro e staccare pezzi di impasto da 25 g, formare dei panini tondi, serrando bene. Disporli su una teglia rivestita di carta forno e farli lievitare fino al raddoppio. Spennellarli con un po' di latte ed infornarli a 180 gradi, per circa 10 minuti.


Per la crema al latte

Latte                                     400 g
Zucchero                              80 g
Maizena                               40 g
Vaniglia                               1 bacca

Scioglier la maizena in 50 g di latte freddo. Portare ad ebollizione il resto del latte con lo zucchero, versarci dentro il latte con la maizena disciolta e,girando con una frusta, far addensare la crema.

Per la farcitura

Ricotta                                  250 g
Panna fresca                         250 g
Crema al latte                       250 g
Liquore d'arance                  2 cucchiai

La sera prima, mettere la ricotta in un colino a maglie strette e lasciarla in frigo a sgocciolare tutta la notte.
Il giorno dopo, lavorare con le fruste la ricotta, la crema al latte ed il liquore ed aggiungere delicatamente il tutto alla panna montata. Mettere la farcia in un sac a poche e, con l'apposito beccuccio da farcitura, riempire le briochine. Spolverizzare con zucchero a velo.