sabato 28 luglio 2012

Bicchierini orzo e zucchine

Caldo...tanto caldo... Voglia di mangiare cose fresche. La solita caprese? La solita insalata di riso? Su, su, un piccolo sforzo e proviamo fare qualcosa di diverso. Io ho preparato questa insalata, in versione finger food. Lo so, c'è da friggere le zucchine, attività poco gradita con queste temperature. Io le ho fritte alle 7 di mattina e poi via sotto la doccia!
Dal libro “Verrines dream”, di Cathy Vagnon e Laurence Dalon

Ingredienti
200 g di orzo
400 g di zucchine
Olio di arachide
½ cucchiaio di olio extravergine di oliva
400 g di pomodori
2 cucchiai di yogurt greco
Menta fresca
Sale

Preparazione
Lessare l’orzo in acqua bollente. Tagliare le zucchine a cubetti e friggerle in abbondante olio e farle scolare bene su carta assorbente. Mettere i pomodori in una pentola piena d’acqua e farli cuocere finché la buccia si staccherà facilmente. Passarli al passaverdure e far restringere la passata sul fuoco. Condire l’orzo con un filo di olio extravergine di oliva, aggiungere le zucchine fritte e le foglie di menta sminuzzate. Mettere l’orzo così condito nei bicchierini, mescolare la passata di pomodoro con lo yogurt e mettere una cucchiaiata di questa salsa su ogni bicchierino, decorando con la menta.

giovedì 26 luglio 2012

Ah, i cuochi in tv!

Lo scorso week end sono stata a Minori, un piccolo paesino della Costiera Amalfitana, proprio sotto Ravello, uno dei tanti gioielli che la natura ci ha regalato con così tanta profusione da renderci, non dico  insensibili, ma sicuramente poco capaci di apprezzare fino in fondo tanta bellezza. E' come se fossimo "saturati" dalle meraviglie che ci circondano, al punto da darle quasi per scontate. Per questo ho provato a guardare quei posti, immaginando di vederli per la prima volta ed ho lasciato che lo stupore si impadronisse di me. Ed ho pensato che davvero noi Italiani siamo un po' come dei ragazzini viziati, così abituati ad essere circondati da bellezze paesaggistiche e da capolavori dell'arte da finire col non tenerli nella giusta considerazione, quando il nostro impegno primario dovrebbe essere la cura e la salvaguardia di questo patrimonio. E queste son cose che la Cina non ci può copiare! Queste risorse ben gestite, insieme ad una "vera" cultura dell'accoglienza,  rappresenterebbero realmente una risorsa economica inesauribile.
Negli ultimi anni, Minori è diventata conosciuta anche perchè è la sede della pasticceria di Sal De Riso. Confesso di essere sempre stata un po' prevenuta nei confronti del personaggio: troppo esposto mediaticamente e col "vizietto" di elargire in tv ricette  non proprio impeccabili. Capisco che uno del mestiere debba salvaguardare i propri segreti professionali, ma non mi sembra comunque un comportamento onesto nei confronti dei telespettatori. In più, chi era stato a visitarlo nella sua pasticceria mi aveva raccontato di un' esperienza non proprio esaltante. Questa volta, ho provato di persona ed anche il mio giudizio è stata piuttosto negativo. Le delizie al limone non erano freschissime e, in più, mi hanno lasciata col sospetto che fossero stati impiegati aromi sintetici, anzichè la buccia dei profumatissimi limoni della Costiera. La torta ricotta e pere, fiore all' occhiello di De Riso, era troppo dolce. Perdonate l'immodestia, ma quella che faccio io è migliore. Tuttavia, proprio questa torta mi ha dato lo spunto per un altro gelato.


Gelato ricotta e pere



Per la dacquoise



Albumi                              30 g.

Zucchero a velo                 60 g.
Farina di nocciole              40 g.
Farina 00                           15 g.


Montare gli albumi a neve ben soda e aggiungervi lo zucchero. Aggiungere delicatamente alla meringa, prima la farina di nocciole e poi la farina 00, mescolando dal basso verso l'alto. Stendere il composto su un foglio di carta forno, formando, con l' aiuto di una spatola, uno strato alto mezzo cm. Infornare a 160 gradi, finchè comincia leggermente a colorirsi. Sfornare e, mentre è ancora tiepido, ritagliare, con l'aiuto di un coppapasta dei dischi di 5 cm di diametro.



Per il gelato



Latte                      300 ml.

Panna                    250 ml.
Zucchero               300 g.
Ricotta romana      200 g.
Vainiglia               1 bacca


Il procedimento, ancora una volta, lo trovate qui. Una volta raffreddata la crema inglese, aggiungervi la ricotta setacciata ed amalgamare bene il tutto.



Inoltre



Pere               2

Zucchero      200 g.
Acqua           150 ml.


Con l'acqua e lo zucchero, preparare uno sciroppo. Quando bolle, versarvi le pere sbucciate e tagliate a dadini. Cuocerle finchè lo sciroppo si addensa e le pere sono diventate traslucide.



Sbriciolare grossolanamente i ritagli di dacquoise e distribuire questa granella sul fondo delle coppe, aggiungere il gelato e guarnire con le pere sciroppate ed un dischetto di dacquoise.



Con questa ricetta partecipo all' MTC di luglio


mercoledì 25 luglio 2012

Orfana del Winner

Alzi la mano chi, tra coloro che amano cucinare, che sono attenti alle materie prime, che preferiscono le cose fatte in casa ai prodotti industriali, non ha almeno un "peccatuccio" da confessare: la predilezione per almeno un tipo di cibo da dover mangiare mettendo a tacere la propria coscienza di persona che pretende di saperne di cibo e di alimentazione corretta.
In materia di gelati, per me questo peccatuccio si chiamava Winner. Quanto mi piaceva il Winner! Il contrasto di consistenze, sapori e temperature: il crok dello strato esterno di cioccolato, cui seguiva il crunch delle arachidi, la densità del caramello e, infine, il freddo del gelato vero e proprio. Non ho mai perdonato all'Algida di averne interrotto la produzione! Nessuna delle barrette gelato che è possibile trovare oggi in commercio è mai riuscita a riprodurne la piacevolezza. E, quindi, una volta esauditi i desiderata del resto della famiglia, per il mio terzo gelato per l' MTC, ho deciso di provare a fare qualcosa che mi ricordasse il Winner. Devo dire che il risultato è stato molto gradevole e, anche se non è la mitica barretta, come sostituto è stato molto apprezzato.


Gelato di cioccolato al latte con salsa al caramello e arachidi salate



Per la salsa al caramello




Zucchero                    150 g.

Panna fresca               150 g.


Mettere lo zucchero in un pentolino, bagnandolo con un paio di cucchiai d'acqua e cuocerlo fino ad ottenere un bel caramello biondo. Fuori dal fuoco, aggiungervi la panna riscaldata (attenzione agli schizzi!) e mescolare fino ad ottenere una salsa omogenea.






Per il gelato



Latte                          300 ml.

Panna                        250 ml.
Zucchero                   250 g.
Tuorli                        50 g.
Cioccolato al latte    100 g.
Arachidi salate          2 tbs
Vainiglia 1 bacca


Per il procedimento, vi rimando qui. Ho diminuito un po' lo zucchero, rispetto alla ricetta di Mapi, perchè, altrimenti, con l'aggiunta del caramello, sarebbe risultato stucchevole.  L' altra differenza consiste nell'aggiungere alla crema inglese ancora calda, anzichè la pasta di nocciole, il cioccolato sminuzzato, in modo da scioglierlo. Servire il gelato con la salsa al caramello e le arachidi.




Con questa ricetta partecipo all' MTC di luglio

Panna 250 ml.
C

sabato 21 luglio 2012

Gli uomini di casa

Avendo fatto il gelato alla nocciola, non mi sono potuta esimere dal fare anche il gelato al gusto preferito dall'altro uomo di casa: il gelato zuppa inglese.


GELATO ZUPPA INGLESE



Per il pan di spagna



Uova                  2

Farina                 40 g.
Zucchero            60 g.


Montare le uova intere con lo zucchero per almeno 15 minuti. Aggiungere delicatamente la farina setacciata. Versare il composto in una teglia rettangolare imburrata e infarinata. Infornare a 180 gradi, per 25 minuti.



Per il gelato




Latte                          300 ml.

Panna                        250 ml.
Zucchero                   300 g.
Tuorli                         50 g.
Bagna all'alkermes     2 + 3 tbs
Vainiglia                    1 bacca


Per il procedimento, vi rimando qui. L'unica differenza consiste nell'aggiungere, anzichè la pasta di nocciole, 2 cucchiai di bagna all' alkermes. Ritagliare dal pan di spagna dei cerchi, inzupparli con l' alkermes e metterli sul fondo delle coppe per gelato. Guarnire il gelato con dadini di pds, sempre inzuppati di alkermes.


Latte                          300 ml.
Panna                        250 ml.




Con questa ricetta partecipo all' MTC di luglio




giovedì 19 luglio 2012

Mio figlio e il panda

Mio figlio è stenofago. Tranquilli, non è una grave malattia . Si dice stenofaga una specie animale che utilizza come fonte di cibo solo pochi tipi di alimento, nei casi estremi, addirittura un solo tipo. Il panda, ad esempio (panda maggiore, per l'esattezza). Avete tutti presente quel tenero e accattivante orsacchiotto, che, non a caso, è stato scelto come simbolo del WWF? Ebbene, sappiatelo: il panda è un esperimento riuscito male! Tanto per cominciare, le sue probabilità di riuscire a riprodursi sono inferiori a quelle di azzeccare la sestina del Superenalotto, dal momento che le femmine vanno in calore solo per pochissimi giorni l'anno. Inoltre, pur essendo tecnicamente dei carnivori, sono diventati erbivori e dei carnivori hanno conservato dentatura ed intestino, il che comporta, come conseguenza, che di materiale vegetale debbano ingurgitarne tanto, ma proprio tanto, per riuscire a sostenersi. Dulcis in fundo, sono, appunto, stenofagi, essendo la loro dieta composta, per larghissima parte, da germogli di bambù. Chiaro che, se il bambù tende a scomparire, il panda è condannato, a meno di interventi da parte dell'uomo, volti a proteggere la specie dall'estinzione.
Mio figlio, al pari del panda, ha una dieta estremamente limitata: mangia solo pochissime cose e sempre quelle, non c'è assolutamente verso di fargli provare qualcosa di nuovo. Questa ristrettezza di vedute alimentari si applica anche al gelato. Per lui, infatti, esiste un solo gusto: nocciola. Entriamo in gelaterie che esibiscono un tripudio di gusti, gelati declinati in tutte le possibili varianti, ma lui, tetragono: nocciola... Potevo mai, per l' MTC di luglio, scegliere un gusto diverso? E così, cuore di mamma ha detto: e nocciola sia!


GELATO ALLA NOCCIOLA



Latte                          300 ml.

Panna                        250 ml.
Zucchero                   300 g.
Tuorli                         50 g.
Pasta di nocciole        2 tbs
Granella di nocciole   2 tbs
Vainiglia                    1 bacca


Per la crema inglese, ho utilizzato il procedimento che uso di solito. Ho riscaldato 100 ml di latte, ci ho messo in infusione la bacca di vainiglia, aperta a metà e l'ho lasciata in infusione per un'ora. Trascorso questo tempo, ho aggiunto il restante latte e la panna, vi ho immerso un colino a maglie fitte, in cui ho versato lo zucchero e i tuorli. Con l'aiuto di un cucchiaio di legno, ho fatto in modo che zucchero e tuorli si stemperassero bene nei liquidi. Ho messo la casseruola su fuoco basso e,senza mai smettere di girare, ho portato la crema ad 82 gradi. Se non si possiede un termometro, si può verificare la cottura con un metodo empirico: quando la crema velerà il dorso del cucchiaio, tracciare, con un dito, una riga, se questa rimarrà netta e non tenderà a scomparire, la crema è pronta. A quel punto, ho aggiunto la pasta di nocciole e l'ho amalgamata al resto. Guarnire con granella di nocciole

Dal momento che non posseggo una gelatiera, ho seguito le utilissime istruzioni di Mapi, che riporto fedelmente:
"trasferire il composto in un contenitore basso, lungo e stretto munito di coperchio (le misure ideali sono cm 23x16x38, altrimenti suddividetelo in più contenitori piccoli, in modo che congeli uniformemente), tappare e riporre nella parte più fredda del freezer per 60-90 minuti. Trascorso questo tempo la miscela sarà ghiacciata sulla base e sui bordi, ma morbida al centro. Mescolarla molto velocemente con uno sbattitore elettrico per uniformarne la densità (volendo la si può trasferire velocemente nel robot da cucina per frullarla), poi riporla nuovamente nella vaschetta livellandola bene e rimettetela in freezer. Ripetere il procedimento per altre 2 volte a intervalli di un’ora e mezza ciascuno; dopo la terza volta trasferire il gelato nella vaschetta che lo conterrà, preferibilmente in polipropilene e riempita fino a 6 mm dal bordo; coprire il composto con un rettangolo di carta forno fatto aderire alla sua superficie (per limitare la presenza di aria umida e impedire la formazione di fastidiosi cristalli di condensa sulla superficie), tappare e rimettere in freezer per 30-60 minuti per far raggiungere al gelato raggiungere la giusta densità. Prima di servirlo, passarlo in frigorifero per 20 minuti."


Guarnire con granella di nocciole



Con questa ricetta partecipo all' MTC di luglio


martedì 17 luglio 2012

Cuochi Q.B.

La cucina è, per me, una tale passione che, negli anni, mi sono cercata tante maniere per viverla (e il blog è soltanto la più recente tra queste). E' stato così che, l'anno scorso, mi son trovata a partecipare al programma "La Scuola: cucina di classe" sul Gambero Rosso Channel: una sfida tra cuochi dilettanti, venuta prima di Master Chef e di un livello ben diverso. Laddove Master Chef è stato, in tutto e per tutto, un reality, con tutta la spettacolarizzazione, le lacrime, gli insulti e così via "trasheggiando", come richiesto da quel tipo di show, il nostro programma era, innanzitutto, come diceva il titolo, una scuola. In ogni puntata, c'era uno chef ospite, che teneva una lezione su un argomento specifico, cucinando una ricetta legata al tema del giorno.
Questa sono io, insieme ad uno dei miei miti, Gennaro Esposito, ospite dell'ultima puntata.

 L'esperienza è stata, quindi, innanzitutto, un momento di crescita dal punto di vista della tecnica, ma l'esperienza umana non è stata affatto da meno. Eravamo un gruppo molto eterogeneo, fatto di persone di età, esperienze e provenienza le più disparate, ma unite dalla comune passione per la cucina e dalla voglia di mettersi alla prova. C' era un clima molto da gita scolastica, come forse si può intuire da questa foto, che immortala il rito scaramantico che facevamo prima di ogni registrazione
Ci siamo divertiti così tanto, che alcuni di noi hanno scelto di non perdersi di vista, una volta finita la trasmissione e di continuare a trovare l'occasione per cucinare assieme. La prima è stata a maggio dell'anno scorso, presso il Circolo ARCI di Murlo (Si): due serate, in cui abbiamo cucinato per un pubblico di 80 persone. Dopo quella prima esperienza,  la composizione e le finalità del gruppo sono andate meglio definendosi. E' nato così il gruppo dei Cuochi Q.B.

 che gira l' Italia, cucinando per occasioni benefiche.
La scorsa fine settimana, alcuni di noi si sono ritrovati, questa volta, però,  per un'occasione privata: la dolcissima cuoca q.b. Giusy ha avuto uno splendido bambino e gli "zii" cuochi sono accorsi, con molto piacere. per cucinare al suo Battesimo.
Ecco Martino in braccio allo "zio" Francesco: non badate all'aria trucida dello zio: è buono come il pane...
Alcuni cuochi al lavoro
Io all'opera
La mia insalata russa rosa


Qualche foto della tavola imbandita

Gli orgogliosi genitori con il loro piccolo
Io sarò di parte, ma credo che, se guardassi dall'esterno questo gruppetto che si muove da tutta Italia, che si organizza, che si sottopone a dei tour de force pazzeschi "solo" per il piacere di stare assieme spignattando in allegria, aggiungendoci anche la finalità benefica, li troverei simpatici...

giovedì 12 luglio 2012

Amarcord

I miei primi passi nel mondo del food sulla rete li ho mossi frequentando il forum de La Cucina Italiana, un luogo virtuale che è stato una tappa importantissima nella mia crescita come cuoca. Lì ho imparato tantissimo, sostanziando la mia passione con un substrato tecnico che mi mancava. Mi si sono aperti "mondi", come la panificazione o la lavorazione del cioccolato, che mai avrei pensato di poter esplorare. Sono nate anche amicizie, che sono uscite dal virtuale, concretizzandosi in incontri, raduni e condivisione di tante esperienze. Uno dei pilastri del forum, in quei primi anni, è stato Alberto Baccani, un raffinato gourmande, che tanto ci ha insegnato. Quella di oggi è una ricetta da lui proposta e che io ho modificato leggermente, eliminando il pomodoro, che mi pareva stonasse un po', abbinato agli asparagi.
P.S. ricordo che, quando ho preparato i tagliolini al nero di seppia, li avevo messi ad asciugare su un apposito "stendino" per pasta fresca, comprato a New York e di cui ero molto fiera, perchè, ai tempi, non ne avevo visti di uguali, in Italia: Un amico di mio figlio, vedendo quei "fili" neri, mi chiese: cosa sono? lana per un maglione? La domanda mi fece doppiamente ridere, visto che la cucina è l'unica, tra le arti muliebri, che mi appartenga. Io che sferruzzavo?? Un'immagine decisamente comica...



Ingredienti per i tagliolini
350 g di farina 00
150 g di farina di semola rimacinata di grano duro
5 uova
1 cucchiaino di nero di seppia
Preparazione
Impastare tutti gli ingredienti, tirare la sfoglia e tagliare i tagliolini.

Ingredienti per il condimento
400 g asparagi mondati
500 g gamberetti sgusciati e lessati
1 kg. cozze
150 g panna fresca
50 g parmigiano grattugiato
150 ml. vino bianco
1 spicchio di aglio
Olio 1 cucchiaio
Burro 1 noce
Sale e pepe q.b.
Preparazione
Far aprire le cozze in una padella con l’olio, l’aglio ed il vino e sgusciarle. Lessare gli asparagi al dente, tagliare le punte, metterle da parte e frullare i i gambi con la panna ed il parmigiano, salare, pepare e far addensare un po’ la salsa sul fuoco.
Saltare brevemente in una padella con il burro i gamberetti lessati e le punte di asparagi. Lessare i tagliolini molto al dente, saltarli in padella, aggiungendo gli altri ingredienti, diluendo, nel caso, il condimento con un po’ di acqua di cottura della pasta. 

             

lunedì 9 luglio 2012

30??? 30!

Il 7 luglio si festeggia S. Claudio. Ed è anche il mio anniversario di matrimonio. La concomitanza dei due eventi non è casuale. Il fatto è che, quando ci recammo in Comune per scegliere in che giorno celebrare il matrimonio, davanti all'elenco di date possibili, il mio futuro consorte ebbe a dire: "Facciamo il 7 luglio, che è il mio onomastico, così sono certo di non dimenticarmi gli anniversari". Confesso che, in quel momento, la mia decisione di fare di quell'uomo il compagno della mia vita ebbe un attimo di ripensamento...E, invece, 30 anni e due figli dopo, siamo ancora qui. Eh si, son passati ben 30 anni da quel giorno. La ricorrenza andava degnamente celebrata e, così, ci siamo regalati tre giorni a St. Tropez. Non è stata la prima volta, anzi, negli ultimi anni, ci siamo andati spesso, grazie al fatto che una coppia di carissimi amici, (di quelli imprescindibili, per intenderci) ha casa lì e l'idea di festeggiare proprio con loro questa tappa così importante della nostra vita ci piaceva molto. A dire il vero, il mio amore per il sud della Francia risale a molto prima, a quando, circa 20 anni fa, organizzammo un viaggio in Provenza, facendo base ad Aix-en-Provence e, da lì, spostandoci per tutta la regione. Ma la scoperta di St. Tropez la devo a questi amici. Io, forse, se non fosse stato per loro, istintivamente, non l'avrei scelta come meta di un viaggio, immaginandola solo come un luogo di mondanità ed ostentazione, tutte cose che mi sono congeniali quanto due dita negli occhi. Certo il lusso, la mondanità, l'ostentazione un po' volgare della ricchezza appartengono indissolubilmente al mito di St. Tropez, ma c'è anche dell' altro. C'è un paesino delizioso e animato, ci sono paesaggi che riempiono gli occhi, c'è il frinire delle cicale ed il tubare delle tortore, c'è il Mediterraneo distillato in tutta la sua bellezza. Amo particolarmente la Route des Plages, una lunga strada che porta alla splendida spiaggia di Pampelonne, costeggiata da vigne e roseti ( lo sapevate che i vignaioli francesi pongono, all'inizio di ogni filare di viti, una pianta di rose , come "termometro" dello stato di salute delle piante? se la pianta di rose, che è molto delicata, inizia a deperire, significa che è tempo di intervenire per evitare che anche le viti si ammalino ) e, un po' più indietro, da pinete fitte, che nascondono splendide case dalle imposte color lavanda.
E, al martedì e al sabato, come avverrebbe in qualunque paesino, la piazza principale ospita un mercato. In questi due giorni, Place de Lyces si svuota delle auto e degli immancabili giocatori di petanque, per far posto alle bancarelle, dove si trova di tutto: abiti, borse, ceste, tovaglie e strofinacci decorati con olive e cicale, i simboli onnipresenti della Provenza. Ovviamente, non possono mancare i prodotti alimentari tipici della regione e, a mio parere, è proprio su questi banchi che si esprime tutta la solarità e la "mediterraneità" di questa parte della Francia.
Ecco una bancarella, in cui le olive sono "declinate" in mille modi.

Questo, invece, è un banco di salumi


Le fougasses

Un tripudio di colori

Il "meticciato culturale", che caratterizza tutto il Mediterraneo, si esprime, ovviamente, anche a tavola, per cui non stupisce trovarsi davanti una sontuosa paella
Meravigliose trecce d'aglio violetto
Il sapone, si sa, è stato inventato dai Galli e i saponi di Provenza, in tutte le profumazioni possibili, sono famosi.

E, per finire, a sera, una cena in un ristorantino sulla spiaggia di Pampelonne, delimitata, da un lato, dal massiccio dell' Esterel, sullo sfondo

e, dall'altro, da Cap Camarat, col suo faro

mercoledì 4 luglio 2012

Engraulis encrasicolus

Eeeeh??? Mi par di sentirvi trasecolare davanti al titolo di questo post. Tranquilli, sotto questo nome roboante ed anche vagamente minaccioso, non si nasconde nient'altro che la comunissima acciuga. Anzi, alice. Perchè, dalle mie parti, si fa una distinzione: acciuga è quella conservata sotto sale o sott'olio, mentre quelle fresche son dette alici. E questo mi porta a riflettere su quanto necessaria ed utile sia stata l'introduzione, da parte di Linneo, della nomenclatura binomia. L' idea in sè sembra banale: attribuire ad ogni specie vivente, sia animale che vegetale (Linneo era un botanico) un nome formato da due parole latine, la prima indica il genere, la seconda la specie. In questo modo, si risolveva il problema dell'ambiguità linguistica: il nome "ufficiale" era quello, indipendentemente dal nome che quella particolare specie poteva assumere nei vari idiomi ed un naturalista spagnolo poteva intendersi- per dire- con un naturalista svedese, senza possibilità di fraintendimenti. Un'idea banale, appunto, ma a nessuno era venuto in mente, prima di Linneo.
Purtroppo, uscendo dall'ambito scientifico, questo problema di comunicazione non è stato risolto. Immagino sia capitato a tanti di voi di andare in pescheria, quando siete in vacanza, e di avere difficoltà ad intendervi col pescivendolo, al punto di arrivare a chiedervi se, per caso, parliate la stessa lingua. Ad esempio, Chelidonichthys lucerna a Napoli si chiama cuoccio, in Sardegna lucerna, in italiano cappone o gallinella. Perdonate la lezioncina, ma, ogni tanto, la zoologa tende a prendere il sopravvento sulla cuoca.  La cuoca però,  si riprende immediatamente i suoi spazi con questa ricettina semplice e gustosa.

Sformatini di alici


Per 2 persone


Alici               250 g.
Ricotta           140 g.
Limone          1
Pan grattato   1 tbs.
Olio evo      
Sale

Ungere degli stampini da creme caramel con un po' olio e spolverizzarli di pan grattato. Foderarli con le alici spinate e aperte a libro, facendo leggermente debordare le code. Salarle. Setacciare la ricotta aggiungervi la buccia grattugiata (solo la parte gialla) di mezzo limone. Riempire gli stampini con la ricotta aromatizzata e ripiegare le code, in modo da chiudere gli sformatini. Spolverizzare col pan grattato ed irrorare con un filo d'olio. Infornare a 180 gradi per una decina di minuti. Da noi si dice che "le alici si cuociono con la paglia", per indicare quanto rapida debba essere la loro cottura.

Con questa ricetta partecipo al contest di poverimabelliebuoni


lunedì 2 luglio 2012

Il culurcio

Oggi non racconterò una ricetta, ma  farò un tuffo nei ricordi legati al cibo. Come ho già avuto occasione di raccontare, benchè io sia nata, cresciuta e vissuta a Napoli, mio padre era ischitano e noi, appena chiuse le scuole, lo raggiungevamo ad Ischia, dove lui si era trasferito già da aprile, per riaprire l'albergo. Mia nonna, invece, viveva lì tutto l'anno ed è proprio di lei che voglio parlare. Di una donna forte e coraggiosa, che rimasta vedova a 27 anni, con tre figli piccoli, è riuscita a tirarli su e a far studiare mio padre ( le femmine, si sa, all'epoca, era già tanto se facevano le elementari...) fino all'Università. E non fu certo facile, perchè l'Ischia del primo dopoguerra non era certo l'Ischia prospera di oggi, era un' isola di contadini, dove in tanti prendevano la via dell'emigrazione. Ma mia nonna era tosta, con la sua pensioncina di vedova di guerra, un po' di terra e tanto lavoro è riuscita a tirare avanti. Aveva imparato a fare le iniezioni e arrotondava andando in giro a farle. Non si è mai risposata, nonostante, come raccontava con un pizzico di compiaciuta civetteria, fossero in tanti a volerla, benchè avesse tre figli. E non stento a crederlo, perchè doveva essere proprio bella, con quegli occhi verdi da gatta ed un nasino perfetto, tratti replicati in quel figlio bello come un Adone e al quale le toccò l'ingratissimo destino di sopravvivere. Mi piace pensare che mia nonna non sia voluta risposare, perchè abbia vissuto la sua vedovanza come l'unica occasione disponibile, a quei tempi, per una donna, di vivere svincolata da qualsiasi tutela maschile. Nelle mie lunghe vacanze ischitane, la nonna mi portava spesso con sè a "fare" l'erba per i conigli e a raccogliere i pomodori. E con questi pomodori mi preparava una merenda che io adoravo: il culurcio, appunto. Si trattava, molto semplicemente, del "cozzetiello", cioè della parte terminale di un tipo particolare di pane delle nostre parti: il palatone, del quale si scavava la mollica, si riempiva di pomodorini, che si condivano con olio, sale e tanto basilico. Il tutto veniva poi "tappato" con la mollica tenuta da parte. Nei miei ricordi, il sapore di quei pomodori, ancora caldi di sole, della mollica inzuppata, che conservavo come ultimo, goloso boccone, rimane associato a momenti di pura goduria. Altro che merendine!



Il pane non è quello, i pomodori non sono quelli, nemmeno l'isola è quella (la foto è stata scattata a Capri), ma il culurcio resta il mio cibo della memoria.