lunedì 2 luglio 2012

Il culurcio

Oggi non racconterò una ricetta, ma  farò un tuffo nei ricordi legati al cibo. Come ho già avuto occasione di raccontare, benchè io sia nata, cresciuta e vissuta a Napoli, mio padre era ischitano e noi, appena chiuse le scuole, lo raggiungevamo ad Ischia, dove lui si era trasferito già da aprile, per riaprire l'albergo. Mia nonna, invece, viveva lì tutto l'anno ed è proprio di lei che voglio parlare. Di una donna forte e coraggiosa, che rimasta vedova a 27 anni, con tre figli piccoli, è riuscita a tirarli su e a far studiare mio padre ( le femmine, si sa, all'epoca, era già tanto se facevano le elementari...) fino all'Università. E non fu certo facile, perchè l'Ischia del primo dopoguerra non era certo l'Ischia prospera di oggi, era un' isola di contadini, dove in tanti prendevano la via dell'emigrazione. Ma mia nonna era tosta, con la sua pensioncina di vedova di guerra, un po' di terra e tanto lavoro è riuscita a tirare avanti. Aveva imparato a fare le iniezioni e arrotondava andando in giro a farle. Non si è mai risposata, nonostante, come raccontava con un pizzico di compiaciuta civetteria, fossero in tanti a volerla, benchè avesse tre figli. E non stento a crederlo, perchè doveva essere proprio bella, con quegli occhi verdi da gatta ed un nasino perfetto, tratti replicati in quel figlio bello come un Adone e al quale le toccò l'ingratissimo destino di sopravvivere. Mi piace pensare che mia nonna non sia voluta risposare, perchè abbia vissuto la sua vedovanza come l'unica occasione disponibile, a quei tempi, per una donna, di vivere svincolata da qualsiasi tutela maschile. Nelle mie lunghe vacanze ischitane, la nonna mi portava spesso con sè a "fare" l'erba per i conigli e a raccogliere i pomodori. E con questi pomodori mi preparava una merenda che io adoravo: il culurcio, appunto. Si trattava, molto semplicemente, del "cozzetiello", cioè della parte terminale di un tipo particolare di pane delle nostre parti: il palatone, del quale si scavava la mollica, si riempiva di pomodorini, che si condivano con olio, sale e tanto basilico. Il tutto veniva poi "tappato" con la mollica tenuta da parte. Nei miei ricordi, il sapore di quei pomodori, ancora caldi di sole, della mollica inzuppata, che conservavo come ultimo, goloso boccone, rimane associato a momenti di pura goduria. Altro che merendine!



Il pane non è quello, i pomodori non sono quelli, nemmeno l'isola è quella (la foto è stata scattata a Capri), ma il culurcio resta il mio cibo della memoria.

2 commenti:

  1. Ma oggi stiamo tutte a correr dietro ai ricordi!! I tuoi sanno di mare, acqua saltata, i miei di dolce, acqua di Lago!!!
    Buonissima la tua merenda che sa di sole, di estate... di casa!
    Nora

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  2. Che bello, Mariella, questo tuo post! Il ricordo del cibo legato agli affetti è intenso, prezioso. La figura della tua nonna, giovane intrepida, che ha attraversato la vita col suo nasino perfetto e la forza di un gigante (o più semplicemente di una donna!)portando per mano i suoi figli e trasmettendo l'amore e la dolcezza ai nipoti, si staglia vivida e fresca sul mare di Ischia! La tua merenda è la più buona: altro che merendine, sì!!
    Un abbraccio affettuoso

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