lunedì 11 luglio 2016

'O purpo

"Polpo, non polipo, non puoi confondermi un Mollusco Cefalopode con un Celenterato. Forse al ristorante lo puoi chiamare polipo, ma non ad un esame di Zoologia". Quante volte ho ripetuto questa frase ai miei studenti? Che, poi, da grammar nazi quale sono, manco al ristorante ammetto che lo si chiami polipo, perché è vero che io, ad Hong Kong, ho mangiato la zuppa di medusa (che sarebbe, come dire, "l' alter ego" del polipo), ma non è un'esperienza che ripeterei.
E quindi è del polpo che parliamo oggi, del polpo nel mito e del polpo in pentola. Si, nel mito, perché sembra che la testa anguicrinita di Medusa fosse ispirata proprio al polpo e ai suoi tentacoli. Come se non bastasse, il monaco bizantino Eustazio paragonava il polpo ad Ulisse. Proprio come l'eroe greco "dal multiforme ingegno", il polpo ha mille abilità: il polpo è astuto, sa mimetizzarsi nell'ambiente ( grazie ai cromatofori di cui è ricca la sua epidermide e che gli permettono di cambiare rapidamente colore ), sa celarsi dietro una cortina di inchiostro, sa tendere trappole alle sue prede e gli studi moderni confermano la complessità del cervello di questo animale. 
E, in una città così profondamente greca, come Napoli, il polpo ha un posto d'onore in cucina: ingrediente imprescindibile della zuppa di pesce, trova la sua massima esaltazione nei "purpetielli alla luciana", dove luciana non è il nome della cuoca, ma si riferisce agli abitanti del borgo di S. Lucia, un tempo tradizionalmente pescatori e chiamati, appunto, luciani.
Ma, questa settimana, il Calendario del cibo italiano, promosso da AIFB, l'ha dedicata al cibo di strada e dell'enorme varietà e ricchezza di queste preparazioni ci parla, come ambasciatrice, Anna Maria Pellegrino. Il mio contributo alla settimana consiste nel raccontare un cibo di strada, un tempo molto diffuso a Napoli e ormai quasi scomparso per motivi igienici: 'o brodo 'e purpo (spero si scriva così, perché io il napoletano lo scrivo pure peggio di come lo parlo).
Matilde Serao, nel suo "Il ventre di Napoli", così ce lo descrive:
“Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta”
Il brodo di polpo, quindi, consiste nell'acqua in cui si è fatto lessare il mollusco ( che deve, necessariamente, essere "verace", cioè appartenere alla specie Octopus vulgaris ed essere, quindi, fornito di due file di ventose su ciascun tentacolo ), eventualmente aromatizzata con foglie di alloro, ma irrinunciabilmente resa piccante da abbondante peperoncino e alla quale alcuni aggiungevano un mezzo limone spremuto. 
Come racconta la Serao, un tempo era frequente, nei quartieri popolari, soprattutto a Porta Capuana, vedere delle donne con un calderone che vendevano ai passanti una tazza di brodo, a cui aggiungevano una "ranfetella", cioè un tentacolo: un modo semplice ed economico per scaldarsi, nelle giornate invernali. 



3 commenti:

  1. Anche io mi arrabbio quando sento definire il polpo con l'ingrato appellativo di polipo. Ti faccio i miei complimenti per questo splendido post. Non sapevo il perchè la ricetta si chiamasse polpo alla luciana, pensavo ingorantemente che derivasse dal nome di una donna. Un grandioso saluto
    M.G.

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  2. Ricetta molto interessante, complimenti! :)

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  3. Ho letto la storia del polpo tutto d'un fiato, immaginandomi di essere sul lungomare e di chiacchiere amabilmente con la cuoca prima di mangiarlo avidamente. Grazie di cuore per il tuo post e per il contributo alla settimana del cibo di strada.

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