giovedì 31 gennaio 2013

Fantans...tici!

Roberto Potito è un carissimo amico, uno di quei bei regali che la lunga frequentazione di forum di cucina  mi ha elargito. La prima volta che ci siamo incontrati di persona è stato ad un corso delle sorelle Simili sul panettone. E non è stato un caso che ci si sia incontrati proprio lì, dal momento che Roberto, pur occupandosi di tutt'altro nella vita, è un grande Maestro dei lievitati, così generoso della sua arte che, ogni anno, a Natale, organizza un mercatino di beneficenza, presso la Chiesa Valdese di Roma, per il quale sforna decine e decine di ottimi panettoni, che vanno a ruba.
Ed è stato proprio lui a farmi conoscere questi fantans. Cosa sono? E' un po' difficile descriverli, perché le estremità sono croccanti come grissini, mentre la parte centrale resta più morbida. Come che sia, sono una vera goduria. Mio marito li adora al punto che, dovendo dare un nome ad una società, l'ha chiamata Fantans...
E questa è la ricetta, così come l'ho avuta da Roberto.


FANTANS
INGREDIENTI

700 GR DI FARINA 00
250 ML DI LATTE TIEPIDO MESCOLATO AD UN CUCCHIAIO DI SUCCO DI LIMONE
100 GR DI BURRO
15 GR DI LIEVITO DI BIRRA FRESCO
2 CUCCHIAINI DI SALE FINO
MEZZO CUCCHIAINO DI BICARBONATO DI SODIO

ESECUZIONE

In una ciotola versate il latte mescolato al succo di limone.Aggiungete il lievito e fate riposare per circa 30 minuti.  Fate fondere 60 gr di burro.Nel frattempo, setacciate in una ciotola la farina con il sale ed il bicarbonato. Fate la fontana e versatevi a filo il composto precedente fatto riposare per trenta minuti.Impastate bene ed energicamente per circa 15 minuti e, solo quando l'impasto avrà raggiunto una discreta consistenza aggiungetevi il burro fuso.
Trasferite il tutto sulla spianatoia e formate una palla, che ungerete con un po' di burro e farete riposare per circa 30 minuti coperta da pellicola trasparente. Al raddoppio del volume, sgonfiate l'impasto e fate rilievitare per ancora un quarto d'ora. Rovesciate l'impasto sulla spianatoia ed appiattitelo con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia spessa 3 mm.
Fate fondere il burro rimanente ed ungete delicatamente la sfoglia da entrambi i lati. Ora, tagliate con un coltello affilato, prestando molta attenzione a non rompere la sfoglia, nel senso della lunghezza, 4 strisce larghe 7 cm.

Sovrapponetele l'una all'altra e dividetele in 8 porzioni. Premete delicatamente una delle estremità ed aprite ciascun panetto a ventaglio, ponendolo subito nell'apposito stampino.

A questo punto, fate lievitare i ventaglini per altri 30 minuti al riparo da correnti d'aria.
Preriscaldate molto, molto bene il forno a 220° e cuocete fino a quando i ventagli non avranno assunto una bella colorazione dorata.
Il tempo di cottura non dovrebbe essere superiore ai 15/20 minuti.

Oppure, se non volete complicarvi troppo la vita, limitatevi a fare delle strisce più strette (sempre dopo averle unte di burro) e ad arrotolarle, come ho fatto io con le rifilature. Il risultato sarà praticamente lo stesso.

domenica 27 gennaio 2013

I binomi inscindibili

I binomi inscindibili sono quelli in cui i due termini sono così strettamente associati che l'uno senza l'altro quasi non ha ragion d'essere: Mario e Silla, i Cimbri e i Teutoni, Tristano e Isotta, prosciutto e melone... E, perlomeno a Napoli, salsiccia e friarielli. Chiariamo,innanzitutto, cosa sono i friarielli. La verdura a cui più si avvicinano sono le cime di rapa, dalle quali, però, si distinguono per essere più amari.

Però, anche la il termine salsiccia necessita di qualche chiarimento, perché, se è vero come è vero che la carne di maiale insaccata in un budello è una preparazione che si ritrova ovunque si utilizzi la carne suina, differenze nella lavorazione e nella aromatizzazione portano a risultati molto diversi tra loro. Da noi, per salsiccia si intende carne di maiale tagliata a coltello  (quindi mai passata al tritacarne!), spesso profumata con semi di finocchio. Se la salsiccia è lunga e sottile, prende il nome di cervellatina.


Ed è stato proprio il binomio inscindibile salsiccia/friarielli il tema della mia terza ricetta per questo MTC.

Pici con crema di friarielli e cervellatine

I friarielli sono stati saltati in padella con aglio, olio e peperoncino, dopodichè li ho frullati col minipimer, riducendoli in crema. Ho scolato i pici (preparati secondo le precise indicazioni di Patty) molto al dente e li ho saltati in padella, insieme alla crema di friarielli, diluita con un po' dell'acqua di cottura della pasta. Ho aggiunto la cervellatina cotta in padella e tagliata a rondelle e dei dadini di provola (il latticino, non il formaggio).
Con questa ricetta partecipo all' MTC di gennaio 2013

giovedì 24 gennaio 2013

Le lezioni dei Maestri

Anni fa, una ditta di Hotellerie della mia città organizzava dei corsi di cucina, rivolti ai professionisti del settore, ma, poiché bastava avere una partita IVA per accedervi, io ed un gruppetto di amiche ci "infiltravamo". Ed è stata un'opportunità eccezionale, perché non solo gli chefs che tenevano i corsi erano quasi sempre di alto livello, ma il costo di questi corsi, che duravano due giorni, per l'intera giornata, era davvero irrisorio. In pratica, si pagavano 50 euro da dividere tra tre o quattro di noi e, come se non bastasse, acquistando qualche indispensabile caccavella (e quando mai siamo uscite a mani vuote da lì?...), i 50 euro venivano scalati dalla spesa! Adesso mi dicono che non è più così, che hanno fiutato l'affare e si sono adeguati ai costi delle altre scuole di cucina.
Uno dei più belli, tra i tanti che ho seguito, resta quello col Maestro Giorilli. Il corso era dedicato alle viennoiserie, cioè a tutte quelle preparazioni sfogliate, adatte alla prima colazione. 
Il nome viennoiserie è un omaggio della cucina francese alla presunta origine austriaca del croissant. Come molti sapranno, la leggenda vuole che questo dolce sia stato inventato, nel 1683, dai pasticceri viennesi, all'indomani della sconfitta dell' esercito dell' Impero Ottomano, che, per circa due mesi, aveva assediato la città. E, poiché le insegne ottomane recavano effigiata una mezzaluna, avrebbero dato al dolce quella forma . Non vi è, però, nessuna certezza che le cose siano andate esattamente così, anche perché la ricetta dei croissants non appare codificata in nessun ricettario, prima del XIX secolo. Come che sia, i croissants, o cornetti, o brioche, come li chiamano a Milano (perché?? per amor del cielo, perché?? la brioche è un'altra cosa!), sono l'accompagnamento classico del caffè o del cappuccino, quando si fa colazione al bar. Peccato che, nel 90% (sono ottimista?...) dei casi, si tratti di cornetti surgelati, preparati con ignobili grassi di dubbia origine ed aromatizzati (lo sapevate che esiste l' "aroma burro"?) chimicamente. Non dirò che farseli in casa sia facilissimo: ci vuole un minimo di manualità e del tempo a disposizione, a causa delle lievitazioni e dei riposi in frigo, tra un "giro" ed un altro, ma, credetemi, una volta assaggiati quelli fatti come si deve, sarà quasi impossibile tornare indietro, a quelli del bar.
Domenica scorsa ho fatto una delle ricette di quel magnifico corso, che, partendo dall'impasto base per i croissants, lo aromatizza con gli agrumi.

Questa sono io, a lavoro col Maestro


Sfogliatine agli agrumi

Farina 00                    200 g
Farina Manitoba         200 g
Latte                           120 g
Lievito di birra           10 g
Zucchero di canna      25 g
Sale                            1 cucchiaino
Burro                         60 g 
Uovo                         1 medio

Impastare tutti gli ingredienti, tranne lo zucchero ed il sale, che andranno aggiunti a metà della lavorazione. Una volta che l'impasto sarà diventato liscio e perfettamente incordato, farlo lievitare per circa due ore a temperatura ambiente e, poi, un'ora a 4 gradi (l'impasto può essere anche preparato la sera prima e lasciato in frigo per tutta la notte).
Nel frattempo, porre 125 g di burro tra due fogli di carta forno e, servendosi del matterello, stenderlo in un rettangolo sottile: riporre in frigo.
Levare l'impasto dal frigo e stenderlo in un rettangolo e adagiarvi sopra la lamina di burro, appena tolta dal frigo (è importante che i due impasti siano alla stessa temperatura), facendo in modo che il burro copra i 2/3 dell'impasto. Ripiegare la porzione d'impasto priva di burro (che sarà quella più lontana da noi) verso il centro, poi piegare l'estremità vicina a noi sempre verso il centro, in modo che i due margini si tocchino al centro del rettangolo d'impasto. Piegare lungo la linea mediana e ruotare l'impasto di 90 gradi verso destra, in modo da avere la chiusura alla propria destra. Stendere nuovamente col matterello e ripiegare in 3, come prima. Mettere in frigo per 30 minuti. Tirare l'impasto fuori dal frigo, disporre la chiusura sempre a destra e stendere col matterello. Ripiegare in 3 e mettere ancora in frigo per altri 30 minuti. Ripetere queste operazioni per una terza volta. Terminato il terzo passaggio in frigo, stendere l'impasto in un rettangolo non più sottile di 3 mm e grattugiarvi la buccia di un limone, di un'arancia e di un mandarino (il mandarino è una mia aggiunta, perché il suo profumo mi piace molto e trovo che sia ingiustamente negletto, rispetto all'arancia e al limone). A questo punto, si arrotola l'impasto e lo si mette in freezer per una quindicina di minuti. Trascorso questo tempo, dal rotolo si tagliano delle fette alte mezzo cm e si dispongono su una placca, rivestita di carta forno e si lasciano lievitare per un'ora. Prima di infornarle a 200 gradi per una dozzina di minuti, si spolverizzano di zucchero Moscovado. Il Moscovado le scurisce un po',ma il retrogusto di liquirizia di questo zucchero fa da ottimo contrappunto all'aroma degli agrumi.





Le ho rifatte. Una parte dell'impasto l'ho usata per fare dei saccottini e dei croissants, farciti con marmellata d'arance home made.


lunedì 21 gennaio 2013

I doni dell'inverno

Amo le gelatine di frutta, sia per usarle nei dolci, sia per spalmarle semplicemente sul pane, al mattino. Per questo motivo, ne preparo tre tipi: d'inverno quella di arance, in primavera quella di fragole, d'estate quella di albicocche. Credetemi: un babà o una Sacher spalmati con una gelatina di albicocche fatta in casa sono tutta un'altra cosa. Tra l'altro,sono anche molto semplici da preparare. Io le faccio seguendo le indicazioni di Montersino. I due fattori "critici" da tener presenti sono il grado di acidità ed il contenuto in pectina del tipo di frutta che utilizziamo.
mele, more, ribes rosso, uva spina, limoni, arance, prugne acerbe, è frutta ricca di pectina e notevolmente acida;
prugne mature e ciliege dolci sono ricche di pectina, ma poco acide;
fragole, uva, albicocche, amarene, è frutta povera di pectina, anche se discretamente acida;
lamponi, pesche, fichi, pere e, in genere, tutta la frutta matura è povera di pectina e non acida.
 

Alla carenza di pectina si "rimedia", cuocendo un paio di mele con tutta la buccia, finché si spappolano. A questo punto, si passa il tutto ad un colino a maglia fitta e si aggiunge il passato alla frutta che intendiamo gelificare. La scarsa acidità, invece, si corregge con succo di limone.
Le arance, come risulta dall'elenco, non necessitano di nessuna correzione, essendo sia ricche di pectina che acide.
Anche se Montersino non lo specifica, io ho preferito procedere con lo stesso metodo che uso quando faccio la marmellata d'arance, per eliminare il retrogusto amarognolo. Ho preso le arance e le ho ripetutamente sforacchiate con uno stuzzicadenti; le ho poi messe in una grande ciotola piena d'acqua e ve le ho lasciate per 48 ore, cambiando l'acqua almeno 4-5 volte. Trascorse le 48 ore, ho tagliato le arance a pezzi e le ho messe in una pentola, coprendole a filo con dell'acqua. Le ho fatte cuocere finché son diventate morbide. A questo punto, ho versato il tutto in una stamina, sospesa sopra una caraffa. Essendo io una "caccavellara" incallita, posseggo questo aggeggio per la bisogna,


ma, in mancanza, si può ricorrere ad uno strofinaccio (bianco e non lavato con detersivi), legandone le cocche a due cucchiai di legno, che andranno appoggiati su una casseruola.
Lasciare la frutta a percolare per 24 ore, senza pressare o strizzare, altrimenti la gelatina non verrà limpida.. Trascorse le 24 ore, misurare il quantitativo di liquido ottenuto e pesare da 400 a 700 g di zucchero ( a seconda di quanto a lungo si intende conservare la gelatina; io ho scelto una via di mezzo: 500 g) per ogni litro di succo. Mettere il tutto in una larga casseruola e far cuocere fino al raggiungimento della temperatura di gelificazione, cioè 108 gradi. Invasare in barattoli sterilizzati.

giovedì 17 gennaio 2013

Pici & Co

Nonostante la povertà del quinto quarto, per molte persone, in passato, persino quello era un "lusso" che ci si poteva concedere solo di tanto in tanto. Come racconta la mia amata Jeanne Carola Francesconi (sempre lei!), i campani erano chiamati "mangiafoglie", perchè la combinazione tra la povertà e la ricca e variegata produzione agricola di quella "Campania felix", già celebrata ai tempi dei Romani, rendeva, giocoforza, la verdura protagonista della tavola. Ed anche il fabbisogno proteico veniva essenzialmente soddisfatto attingendo a quella vera e propria miniera di proteine vegetali che sono i legumi. L'istintiva saggezza popolare li abbinava alla pasta e la biochimica, oggi, conferma la validità di questo connubio, che permette di avere a disposizione, in un unico piatto, tutti gli aminoacidi essenziali, cioè i "mattoni" di cui son fatte le proteine.
Nella tradizione napoletana, però, esiste anche un abbinamento dei fagioli con la scarola, quella che altrove si chiama indivia. Per intenderci, questa:


Da noi, il fagiolo più usato è il cannellino, che, nella sua versione fresca, è chiamato "spullecariello", italianizzato in spollichino. Quando è stagione di spollichini freschi, quel sant'uomo di mio marito, nell'arco di un paio di fine settimana, si sguscia con pazienza una decina chili di fagioli, che io provvedo a congelare, in modo da garantirci la scorta per tutto l'anno. E che non mi si accusi di schiavizzare il consorte, perché lui dice che trova questa attività estremamente rilassante!
Da pochi anni, però, ho scoperto anche il fagiolo di Controne (presidio Slow Food), dal seme più tondeggiante e dalla buccia particolarmente sottile. Essendomi capitata l'opportunità di procurarmeli freschi, ho aggiunto anch'essi alle scorte. Mi è sembrato che questi fagioli potessero rappresentare un buon punto di partenza per la mia seconda ricetta di pici.
I pici li ho preparati seguendo le precise indicazioni di Patty.
I fagioli li ho lessati in acqua (essendo freschi, non hanno richiesto ammollo), insieme a sedano, origano, aglio ed un cucchiaio di passata di pomodoro. Una volta cotti, li ho schiacciati al passaverdure e la purea l'ho setacciata allo chinoise, per ottenere una consistenza più fine.
Ho sbollentato le scarole e poi le ho saltate in padella con olio, aglio e peperoncino.
Sul fondo del piatto ho messo la crema di fagioli, sulla quale ho disposto i pici e la scarola. Ho aggiunto dei pinoli tostati, sia  per dare un po' di croccantezza, sia per richiamare un altro modo tradizionale di cucinare la scarola, cioè con pinoli ed uvetta.
P.S. Notare la porzione non esattamente da nouvelle cuisine...

Con questa ricetta partecipo all' MTC di gennaio 2013

martedì 15 gennaio 2013

Mozzarella di bufala for ever

Premetto che, per me, il miglior modo di gustare una mozzarella di bufala rimane mangiarla "in purezza", con del buon pane "cafone", cioè a lievitazione naturale e cotto a legna. Persino l'accostamento con i salumi mi sembra eccessivo, capace d'interferire con prepotenza col gusto morbido e delicato di questo prezioso latticino. Tra l'altro, mi piange il cuore a pensare che la maggior parte delle persone creda che mozzarella sia quell'ignobile "formaggio a pasta filata", insipido e vagamente gommoso, che vendono nei supermercati. Ricordo ancora lo stupore e l'estasi dell'allora fidanzato di mia nipote (comasco per nascita e svizzero per parte di madre), quando gli facemmo provare per la prima volta una mozzarella degna di questo nome: "Ma io cosa ho mangiato fino ad ora, credendo fosse mozzarella?"...
Date queste premesse integraliste, può sembrare strano che io abbia deciso di partecipare al contest di Cappuccino e cornetto, ma l'ho presa come una sfida. Mi sono ricordata di un pane alla mozzarella di Montersino ed ho provato a rifarlo, sia pure cambiandone la farcitura. Ne son venute fuori queste girelline, morbide e leggermente sfogliate, perfette per un aperitivo o un buffet.

Girelle alla mozzarella ( da"Piccola pasticceria salata" di L. Montersino)

Farina                           200 g
Latte                             80 g
Mozzarella di bufala     80 g
Lievito di birra              8 g
Burro                            20 g
Zucchero                      1 tsp
Sale                              1 pizzicone

Sbriciolare il lievito nel latte tiepido e mescolare il tutto alla farina. Iniziare ad impastare; aggiungere zucchero e sale. Quando l'impasto è diventato liscio, aggiungere il burro e la mozzarella ben strizzata e tritata nel cutter. Formare una palla e farla lievitare. Montersino indica 20 minuti di lievitazione, ma io ho atteso che l'impasto raddoppiasse di volume e ci son volute 3 ore. A questo punto, stendere l'impasto, formando un rettangolo dello spessore di 3 mm. Montersino lo spalma con concentrato di pomodoro e spolverizza di origano, arrotola e taglia le girelle. Io, invece, ho preferito dividere il rettangolo d'impasto a metà e spalmarne una con una tapenade e l'altra con pesto di pomodori secchi e ricotta.

Pesto di pomodori secchi

Pomodori secchi    6
Mandorle               40 g
Aglio                     1/4 di spicchio
( niente basilico, perché, dopo Natale, persino il mio orticello ha dato forfait)  
Ammollare i pomodori in acqua calda per una mezz'ora.  Sgocciolarli e strizzarli.    
Frullare il tutto, insieme a 50 g di ricotta di bufala.
Una volta formati i due rotoli, li ho messi per 45 minuti nel freezer, in modo da poter tagliare le girelle, mantenendo la forma tonda della sezione. Ho disposto le girelle su una teglia rivestita di carta forno, le ho leggermente spennellate d'olio evo e le ho lasciate a lievitare per un'ora. Trascorso questo tempo, le ho infornate a 200 gradi per 15 minuti.










Con questa ricetta partecipo al contest Sua Maestà la mozzarella di bufala, per la categoria "Antipasti-sfizi-finger food"

domenica 13 gennaio 2013

Del maiale non si butta via niente

L' utilizzo del cosiddetto "quinto quarto" è sempre stato un caposaldo della cucina povera. Le frattaglie (cuore, fegato, polmone, milza, cervello, animelle, a cui vanno aggiunte piedini di maiale, nervetti, trippa, centopelli, lampredotto) snobbate da chi poteva permettersi filetti e costate, rappresentavano, invece, per la povera gente, una possibilità di accesso alle proteine animali. E, come spessissimo accade quando si deve fare di necessità virtù,  questo ha portato ad un fiorire di preparazioni molto gustose, ancorché non sempre leggerissime. Del resto, in passato, la penuria e non l'abbondanza costituiva la regola e l'imperativo era riempirsi la pancia con cibo molto energetico, per fronteggiare un lavoro fisico spossante, come arare un campo o fare il bucato a mano al lavatoio. Altro che lavorare seduti davanti ad un computer!
Ovviamente, anche la cucina popolare napoletana vanta diversi modi di utilizzare le frattaglie. Ad esempio, ancora oggi, nei quartieri più popolari, è possibile incontrare carrettini che vendono "o pere e o musso", cioè il piedino ed il muso del maiale lessi, uno dei cibi di strada più tradizionali della mia città.
Per me, l'apoteosi di questo genere di preparazioni è la cosiddetta "zuppa forte" o "zuppa di soffritto". Si tratta di una zuppa molto densa, fatta con polmone, trachea, cuore e milza di maiale, cotti con pomodoro, tanto peperoncino, strutto e alloro. Una robina leggera, insomma...Si mangia o come zuppa, magari accompagnata da crostini di pane, oppure si usa per condire la pasta.
Quando ho letto che le parole d'ordine per l' MTC di questo mese erano "cucina rustica" e "territorio", coniugate intorno al tema dei pici, ho immediatamente pensato che la zuppa forte potesse validamente rappresentare la mia tradizione, in questo connubio tosco-campano. Come "tocco in più" e sempre restando sul territorio, ho stemperato la zuppa con dell'ottima ricotta di bufala.
Per la ricetta dei pici, rimando alla dettagliata spiegazione di Patty, aggiungendo solo che si tratta di una ricetta perfetta, che, persino a me che non li avevo mai fatti, ha permesso di ottenere, al primo tentativo, degli ottimi pici. 
E questi sono i pici stesi ad asciugare sull'apposito stendino.



Per la preparazione della zuppa forte, ho seguito la ricetta di Jeanne Carola Francesconi, il cui libro sulla cucina napoletana rimane, per me, il riferimento definitivo.

Zuppa di soffritto di maiale

Polmone, trachea, cuore e milza di maiale  450 g.
Concentrato di pomodoro                           75 g.
Olio evo                                                      1/2 tbs
Strutto                                                         25 g.
Peperoncino a piacere
Foglia di alloro
Rosmarino
Vino rosso secco                                         100 ml.
Sale

Tagliare le frattaglie a cubetti di circa 2 cm e metterle in acqua fredda, per un paio d'ore, cambiandola di tanto in tanto, fino a che l'acqua apparirà limpida e non più arrossata dal sangue. Sgocciolare e asciugare i pezzetti di carne. In una larga casseruola, sciogliere lo strutto con l'olio e aggiungervi la carne, che andrà fatta rosolare a fuoco vivo. Quando ha preso colore, sfumare col vino. Una volta che questo è evaporato, aggiungere il concentrato, stemperato in un po' d'acqua, l'alloro, il rosmarino, il peperoncino (il risultato finale dovrà essere piuttosto piccante) e il sale. Abbassare la fiamma. Far cuocere per 4-5 minuti, quindi aggiungervi qualche mestolo d'acqua e proseguire la cottura a fuoco lento per un paio d'ore, aggiungendo ancora acqua, se necessario.
La zuppa può essere preparata in anticipo e conservata in frigorifero.
Cuocere i pici in acqua bollente salata per circa 5 minuti. Nel frattempo, stemperare in una padella la zuppa forte con della ricotta di bufala ed un paio di cucchiai dell'acqua di cottura della pasta. Scolare e condire.
Io, purtroppo, causa Ramadan post-natalizio, ne ho assaggiata solo una mini forchettata, ma erano strepitosi!





Con questa ricetta partecipo all' MTC di gennaio 2013


mercoledì 9 gennaio 2013

Molluschi e legumi


Erano i primi anni '70, quando, una sera, mio cognato ci portò a cena in un ristorante alle falde del Vesuvio. Era un postaccio, con un'enorme sala, modello "grande, grosso matrimonio cafone", ma ci eravamo andati perché il locale era famoso per un piatto che, allora, suonava piuttosto strano: pasta e fagioli con le cozze. Erano anni innocenti, in cui ancora la cucina non aveva conosciuto le sperimentazioni estreme o la contaminazione con cucine di tutto il mondo, per cui un simile abbinamento sembrava un'eresia ardita. Ma ci piacque ed anche parecchio. Per questo motivo, quando, diversi anni dopo, Fulvio Pierangelini propose la sua "Passatina di ceci con gamberi" a me non sembrò quella assoluta novità che apparve a tanti. Per me, l'accostamento tra i legumi ed il mare era "carta conosciuta", come si dice dalle mie parti. Resta il fatto che questo connubio continua a piacermi e ve lo ripropongo, utilizzando, però, dei polpetti veraci.
Crema di ceci con polpo
Ingredienti
400 g di ceci
4 di polpetti veraci
1 bicchiere di fumetto di pesce
3 cucchiai di olio extravergine di oliva
1 spicchio di aglio
Rosmarino

Mettere i ceci a mollo in acqua calda per 24 ore. Quindi, sciacquarli bene, metterli in una pentola con acqua, 1 cucchiaio d’olio, l’aglio ed un rametto di rosmarino e farli cuocere, finché saranno teneri. Un volta cotti, eliminare l’aglio ed il rosmarino e  frullarli con un frullatore ad immersione. Immergere in acqua bollente per non più di 3-4 minuti i polpi. Scaldare leggermente l’olio restante e lasciarci in infusione un rametto di rosmarino per qualche minuto. Rigirare i polpi in quest’olio aromatizzato, sgocciolarli e passarli a fuoco vivace,  in una padella bollente, per un paio di minuti. Diluire la passata di ceci con il fumetto, distribuirla nei piatti, mettere  sopra ognuno un polpo e guarnire con il rosmarino ed un giro d'olio evo.


Foto di Lydia Capasso

domenica 6 gennaio 2013

Un' amica dolcissima

Pinella resta il mio inarrivabile modello, quando si tratta di pasticceria. La perfezione, l'armonia e la bellezza dei suoi dolci mi lasciano ogni volta incantata. E non sono solo belli: sono anche buoni. Io lo so, perché ho avuto il privilegio di assaggiarli, in occasione di un bellissimo (e non perché l'avessi organizzato io) raduno del forum di Cucina Italiana, a Capri, nel 2004. Del resto, non è un caso che Maurizio Santin  chiami "collega" lei che non è pasticcera di professione. E', invece, come me, biologa, a conferma di quello che ho sempre sostenuto e, cioè, che "pasticciare" in laboratorio abbia qualcosa in comune col cucinare.
La maggior parte dei suoi dolci sono fuori dalla mia portata, in quanto richiedono la padronanza di tecniche degne di un professionista ed un rigore che non mi appartiene: io sono un po' più cialtrona. Questi bicchierini, però, sono abbordabili e li ho fatto più volte, con grande soddisfazione e gradimento di chi li ha gustati.
Riporto le dosi dal blog di Pinella, con l'unica modifica che ho operato io: nell'ultimo strato ho aggiunto della pasta di nocciola. Pinella parla di mousses ai tre  cioccolati, ma io mi permetto di dire, sommessamente, che l' uso della gelatina le classifichi più esattamente come bavaresi.

Bavaresi ai tre cioccolati


Bavarese al cioccolato fondente

180 gr di cioccolato fondente al 70%
5 gr di gelatina
250 gr di panna fresca
180 gr di latte

Bavarese al gianduia

220 gr di cioccolato al latte al 40%
5 gr di gelatina
250 gr di panna fresca
130 gr di latte
50  gr di pasta di nocciole
Nocciole per la guarnizione

Bavarese al cioccolato bianco

240 gr di cioccolato bianco
5 gr di gelatina
250 gr di panna fresca
180 gr di latte

Cominciare con la bavarese al cioccolato fondente. Mettere a mollo in acqua fredda la gelatina. Grattugiare il cioccolato e versarlo nel latte caldo, in modo che si sciolga perfettamente. Quando si è un po' intiepidito, aggiungervi la gelatina ammollata, strizzata ed asciugata con carta da cucina. Semimontare la panna ed incorporarla delicatamente al resto. Versare uno strato di bavarese sul fondo dei bicchierini e mettere in frigo a solidificare. Preparare nello stesso modo la bavarese al cioccolato bianco e stratificarla su quella al cioccolato fondente. Rimettere in frigo. Da ultimo, preparare la bavarese al gianduia e formare così l'ultimo strato. Guarnire con una nocciola.
Note: è importante che ciascun strato sia solidificato per bene, prima di aggiungere il successivo, pena il mescolamento dei composti.
Partendo da queste basi, è possibile aromatizzare le bavaresi con arancia, cardamomo, cannella, a seconda dei gusti.